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multiculturalismo fallito


 

 

Cameron: il multiculturalismo è fallito

Il premier britannico: «La tolleranza passiva incoraggia la separazione.
Lo stato liberale impone i suoi principi»

LONDRA – Il multiculturalismo? E’ fallito. La sentenza è del premier britannico, David Cameron. Ed è destinata a sollevare più d’una polemica e più d’una riflessione sui modelli di integrazione con i quali tutta Europa, e non soltanto la Gran Bretagna, ha affrontato il problema dell’immigrazione e dell’integrazione. Con riferimenti specifico all’Islam e in una situazione nella quale ciò che sta avvenendo in Medio Oriente pone nuovi e ulteriori rischi.

VALORI COMUNI PER TUTTI- Secondo Cameron il ««multiculturalismo di stato» ha fallito e ha lasciato i giovani musulmani vulnerabili al radicalismo, ha affermato il primo ministro britannico nell’intervento alla conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. «È tempo di voltare pagina sulle politiche fallite del Paese. Per prima cosa, invece di ignorare questa ideologia estremista, noi dovremo affrontarla, in tutte le sue forme». E ancora: «Sotto la dottrina del multiculturalismo di stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l’una dall’altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere. Tutto questo permette che alcuni giovani musulmani si sentano sradicati».

Per Cameron è il momento di lasciare da parte la «tolleranza passiva» del Regno Unito con un «liberalismo attivo, muscolare», per trasmettere il messaggio che la vita in Gran Bretagna ruota intorno a certi valori chiave come la libertà di parola, l’uguaglianza dei diritti e il primato della legge. «Una società passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti. Un paese davvero liberale fa molto di più. Esso crede in certi valori e li promuove attivamente» (fonte Ansa)

05 febbraio 2011 @ Corriere.it

 

 

Modello Stoccolma sotto esame

Welfare, accoglienza e multiculturalismo: ora la società è costretta a interrogarsi

 

L’attentato di Stoccolma lascia perplessi tutti coloro che hanno sempre considerato il Paese scandinavo un approdo sicuro, lontano dalle tempeste che sconvolgono il resto del mondo. E lo conferma il fatto che in Svezia si trova, rispetto alla popolazione, la più alta percentuale al mondo di immigrati ed esuli. Soltanto i musulmani sono, fra iracheni, iraniani, bosniaci, africani e asiatici, ben 700mila e ad essi gli svedesi hanno dato, oltre alla sicurezza personale, tutto: alloggi gratuiti, vestiario, sussidi, occupazione, insegnamento bilingue, refezioni speciali nelle scuole e negli ospedali, moschee, rispetto delle usanze religiose.

Nel quartiere di Rinkeby, alla periferia di Stoccolma, le auto della polizia sono addirittura contrassegnate con la scritta in arabo «Aina». Ma è forse stata questa eccessiva accoglienza e tolleranza di usi e costumi lontani dalla tradizione svedese a permettere che si sviluppassero, insieme a pretese sempre più ardite, la convinzione che gli svedesi debbano adeguarsi a ciò che, secondo certe interpretazioni distorte del Corano, dovrebbe dettare legge? Il gesto di Taimour Abdulwahan Al-Abdaly rappresenta certo un’eccezione: egli era giunto da profugo in Svezia, al seguito della famiglia, nel 1992, all’età di dieci anni. Intelligentissimo, aveva imparato perfettamente svedese ed inglese. Al liceo scientifico era sempre stato il primo della classe. Poi era andato in Inghilterra e si era laureato all’università di Luton. Ma proprio a Luton aveva incontrato fondamentalisti islamici che avevano destato in lui l’odio per la società occidentale cristiana. Quando è tornato in Svezia, qualche anno fa, era totalmente cambiato, dimostrandosi un fanatico religioso. Altri giovani «svedesi », come lui, sono andati in Pakistan per imparare a fabbricare bombe e rappresentano un pericolo latente per la nazione, ma soprattutto per le altre centinaia di migliaia di musulmani pacifici che, paventando reazioni xenofobe, si domandano: perché colpire proprio la Svezia che ci ha accolto? Questo è il punto: la società svedese s’interroga su cosa non funziona nel modello di accoglienza sviluppatosi in questi anni nel segno del multiculturalismo, se dal suo seno sono nati anche giovani che hanno fatto proprie le gesta sanguinose dei jihadisti.


Francesco Saverio Alonzo

Avvenire 14.12.10

 

 

 

«Integrazione soltanto per chi parla tedesco»

La Merkel insiste: multiculturalismo fallito

Presto una legge sulle lezioni obbligatorie

 

DA BERLINO VINCENZO SAVIGNANO
Integrationgipfel oder Irritationgipfel? Vertice dell’integrazione o dell’irritazione? Si chiedeva provocatoriamente ieri il quotidiano Die Welt, riferendosi alle infuocate polemiche che hanno preceduto la quarta edizione della tavola rotonda sull’integrazione degli immigrati, organizzata dal governo di Berlino e a cui partecipano i vertici del mondo politico, tra cui il cancelliere Angela Merkel e rappresentanti del vasto e complesso mondo degli stranieri della Germania.

Proprio la Merkel ha aperto la conferenza stampa conclusiva, svoltasi al cancellierato, ribadendo in parte la controversa dichiarazione di alcuni giorni prima con cui aveva dichiarato «fallita la società multiculturale della Germania». «Con quelle parole – ha spiegato ieri il cancelliere – ho voluto esprimere la mia opinione, attraverso la quale non intendevo chiudere bensì aprire una discussione, un confronto su un tema assai delicato. So che sono tanti gli immigrati che partecipano attivamente alla vita sociale ed economica del Paese, ma a mio modo di vedere l’integrazione sinora non ha portato impegno ed energia per la società». Il principale ostacolo all’integrazione, indicato praticamente da tutti i 120 partecipanti alla tavola rotonda, è stato ed è l’apprendimento della lingua tedesca da parte dei cittadini stranieri.

«Lingua, scuola ed istruzione, su questi tre capisaldi deve fondarsi l’integrazione futura degli immigrati nel nostro Paese», ha aggiunto la Merkel. In base ad alcuni rilevamenti, realizzati dal ministero dell’Istruzione e presentati al termine del vertice, il 13 per cento degli studenti stranieri non porta a termine la scuola dell’obbligo. Una percentuale molto alta che ha una ricaduta inevitabile sul mercato del lavoro: più del 30 per cento dei disoccupati di lunga durata sono stranieri che, secondo parte del mondo politico e dell’opinione pubblica tedeschi, anche grazie ai vantaggiosi aiuti statali, si rifiutano di integrarsi nella società e nel mondo del lavoro della Germania.

A riguardo dal 2005 sono stati creati gli “Integrationkurse”, i corsi d’integrazione rivolti a tutti gli stranieri extracomunitari in età post-scolare, nel corso dei quali si impara la lingua tedesca ma anche tradizioni e leggi della Germania. «Dal 2005 – ha sottolineato la funzionaria del governo per l’immigrazione, Maria Böhmer – più di 700mila immigrati hanno preso parte agli Integrationkurse», ma di questi più della metà non ha portato a termine il percorso di studi. Ecco perché il governo, attraverso una legge che passerà presto al vaglio dei due rami del Parlamento, intenderebbe rendere i corsi obbligatori e sanzionare anche con l’espulsione coloro che si rifiutano di parteciparvi. Questo il tema che ha provocato i maggiori attriti e nervosismi nel corso dell’Integrationgipfel. «Una legge di questo genere sarebbe un grave errore, un ostacolo pericoloso per l’integrazione di milioni di stranieri», ha sottolineato il presidente della principale associazione turca di Germania, Kenan Kolat. Critiche all’Integrationgipfel anche da parte dell’opposizione: «Non si può pensare di affrontare la questione integrazione solo introducendo corsi di lingua serali di 30 ore», ha detto la socialdemocratica Andrea Nahles. Insomma, il quarto Integrationgipfel lascia molti interrogativi ed una certezza: l’integrazione di milioni di stranieri sarà la principale sfida per la Germania nel XXI secolo.

Avvenire 4.11.10

http://alezeia.wordpress.com/2011/02/08/il-fallimento-del-multiculturalismo-2/






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