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Lettere di Geerd Hamer a un Rabbino

Le lettere di Geerd Hamer


Le 6 lettere che ri-pubblichiamo (rese pubbliche dallo stesso dott.Hamer) sono rivolte ai massimi vertici della Comunità ebraica internazionale. Il loro contenuto è massimamente sconvolgente. Hamer evidenzia come questi massimi livelli hanno accettato la sua Nuova Medicina Germanica, ma li accusa di applicarne le cure esclusivamente per le persone di fede ebraica. Sappiamo che, non appena si evocano tematiche critiche nei confronti della nazione ebraica si riceve l’epiteto di antisemita, se non peggio. Ma il nostro intento è solo quello di informare: non abbiamo alcun pregiudizio o sentimenti di odio o disprezzo o discriminazione verso il popolo ebreo.

Lettera del 22.06.1986

Dr. Med. Ryke Geerd Hamer, Sùlzburgstr. 29, 5000 Colonia 41

22 giugno 1986

Signor Gran Rabbino Dr. Med. Menachem Mendel Schneerson

770 Eastern Parkway Brooklyn

New York 11213

Egregio Signor Gran Rabbino,

Lei è il capo spirituale di tutti gli ebrei del mondo, come mi ha detto il rabbino Denoun, e contemporaneamente è anche il capo spirituale di tutte le logge massoniche che lavorano al "Tempio di Sion", Lei è medico e capisce bene il tedesco. Perciò è giusto che indirizzi a Lei questa mia lettera. Mi sono molto rallegrato che Lei abbia letto ed evidentemente capito il mio libro tedesco "Cancro, malattia dell'anima, cortocircuito nel cervello, il computer del nostro organismo" e che abbia già dato disposizioni di applicarlo per i suoi pazienti ebrei; sono invece altrettanto deluso del fatto che palesemente non abbia ancora dato ordine alle sue logge di porre fine al boicottaggio della LEGGE FERREA DEL CANCRO nei confronti dei non ebrei. La prego solo di non dirmi: "Non siamo stati noi!", perché sono perfettamente informato di come stanno le cose.
Le sue logge massoniche da cinque anni hanno commesso il più terribile crimine della storia dell'umanità boicottando la scoperta della LEGGE FERREA DEL CANCRO. Per centinaia di milioni di poveri innocenti ciò significa una morte atroce.

Le logge massoniche e Israele, che lavorano tutte al servizio del "Tempio di Sion", devono assumersi la responsabilità e la colpa collettiva del più orribile delitto di tutta la storia dell'umanità. Anche mia moglie rientra fra le vittime di questo boicottaggio terroristico. Da anni la mia famiglia ed io siamo sistematicamente minacciati. Per quattro volte si è già attentato alla mia vita.

Egregio Gran Rabbino, Lei è l'uomo meglio informato del mondo, credo. Sa anche bene che ogni parola che le ho scritto corrisponde a verità. Il Tempio di Sion, per il quale lavorano i suoi fratelli massoni, da cinque anni è diventato la Auschwitz di Israele in cui essa stessa si è andata a cacciare. L'enormità di tale crimine supera la capacità immaginativa del cervello umano, così penso. Anche se i fratelli della loggia operano secondo la "doppia morale" del Talmud, mai in passato avrei potuto immaginare che gli uomini potessero essere capaci di un delitto di tale orrenda entità. Signor Gran Rabbino, qualunque cosa Lei potrà ammettere o non ammettere, sarà la storia a decidere al riguardo. Questo crimine cresce ogni giorno di più. Dopo questa lettera non avrà più nessuna possibilità di tacere, perché la mia lettera non scomparirà più dal mondo. La prego per ì miei pazienti: dia quindi ordine alle sue logge di porre termine senza condizioni al boicottaggio contro la scoperta delle correlazioni del cancro.

Ogni rabbino Schoen e Seligmann da Koblenz fino a New York eseguirà i suoi ordini, una volta che Lei quale medico si sarà convinto che la LEGGE FERREA DEL CANCRO riflette le vere circostanze dell'evento cancerogeno. Tutti i giorni vengono da me rabbini e maestri di logge o altri da loro inviati per trattare qualche condizione con la quale si potrebbe eliminare il boicottaggio. Ma non possono esistere condizioni di fronte al fatto che delle persone continuano ad essere torturate fino alla morte!

Egregio Gran Rabbino, se il sionismo deve essere ottenuto a prezzo del più tremendo crimine della storia, allora è una vergogna per Un intera umanità. Getti via il suo Talmud con la doppia morale, perché non si è dimostrato valido. La prego in ginocchio per i miei pazienti che stanno morendo: abbia compassione umana per il tormento dei nostri malati, ebrei e non ebrei! Solo questa compassione può attenuare l'orribile delitto. Per favore, dia subito ordine di terminare il boicottaggio e di lasciare che i pazienti morenti si salvino!
La saluto nella speranza che Lei sia consapevole della sua responsabilità e di tutte le conseguenze relative e che in questa responsabilità prenderà ormai la giusta decisione.

Con la massima stima! Dr. Med. Ryke Geerd Hamer

Lettera del 6.12.2000

Dr. Med. Mag. Teol. Ryke Geerd Hamer

6 dicembre 2000

Al Presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania Signor Paul Spiegel

Leo-Baeck-Haus Tucholskystr. 9

10117 Berlino

Oggetto: NUOVA MEDICINA

Egregio Signor Presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, Paul Spiegel Mi rivolgo a Lei, quale presidente del suddetto consiglio, a proposito di una questione probabilmente estremamente terribile, che potrebbe coinvolgere l'intera comunità ebraica mondiale, e questo per molti secoli. Si tratta della repressione della conoscenza della NUOVA MEDICINA per i non-ebrei perpetuata da quasi vena anni.

Voglio fare subito una premessa: se da Lei o dai suoi fratelli di fede o dalla stampa dovessi essere considerato un antisemita o un razzista, proprio io che non ho mai chiesto né a un paziente né a un allievo di che razza o di che religione fosse, ciò sarebbe proprio come affermare che un bovino è un animale predatore. E se i suoi amici della loggia suprema israelita, la B'nai B'rith, dovessero tentare di uccidermi, neppure ciò sarebbe di nessun aiuto, infatti tutti saprebbero da questa lettera che rimarrà su Internet che solo la B'nai B'rith poteva assassinarmi, come infatti ha già provato a fare (rappresentante del Menachem Schneerson). Del resto pregherò il mio avvocato Walter Mendel, che la conosce bene, di consegnare personalmente questa lettera. Nelle vicinanze della casa natale di questo avvocato, presso Krefeld, i miei genitori durante la guerra hanno nascosto un grande numero dei suoi fratelli di fede rischiando la propria vita. Ecco ora la ragione di fondo del mio scritto: la NUOVA MEDICINA esiste da quasi ventanni. Finora essa è stata verificata ufficialmente e pubblicamente 27 volte, cosa che è possibile fare solo nel caso di una scienza così rigorosa come la NUOVA MEDICINA, non basata su 5000 ipotesi come appunto la medicina tradizionale. La NUOVA MEDICINA offre una possibilità di sopravvivenza, ad esempio nel caso del cancro, del 98%, mentre la pseudo-terapia della medicina tradizionale, che fa ricorso a chemio, irradiazioni e morfina, ha una mortalità del 98% (secondo il centro di ricerca oncologica di Heidelberg).

Negli anni Ottanta ho tenuto innumerevoli seminari di NUOVA MEDICINA in Francia, e a volte l'80% dei partecipanti erano rabbini, che spesso si applicavano con zelo allo studio.
Nel 1986 ricevetti però un duro colpo quando il gran rabbino di Parigi, sig. Denoun, rivelò a me e al mio amico Antoine conte D'Oncieu di avere ricevuto, come gli altri rabbini di tutto il mondo, uno scritto dal rabbino supremo, Menachem Schneerson, in cui si diceva che tutti i rabbini dovevano accertarsi che gli Ebrei venissero curati con la NUOVA MEDICINA poiché essa è stata verificata e risulta essere corretta. L'esercizio però della NUOVA MEDICINA, doveva avvenire segretamente e non doveva essere applicata ai non-ebrei.

Allego la mia lettera, che in seguito a questo fatto scrissi al Signor Gran Rabbino Menachem Schneerson. Ho ricevuto la sua risposta nel 1989 in forma di un tentativo dì attentato tramite il suo rappresentante. Di recente un medico ebreo, Dr. Rozenholc dell'Argentina, ha reso noto in un seminario con 33 partecipanti e di fronte a una cinepresa che da 15-20 anni gli israeliti di tutto il mondo sono curati, in segreto e sotto falsa etichetta, secondo la NUOVA MEDICINA con il massimo successo. Egli ha citato persino un ospedale in Israele dove sotto falso nome (il nome di Hamer là non lo conosce nessuno, così dice) si praticherebbe la NUOVA MEDICINA per gli Israeliani.

Dopo la diffusione su Intemet di questa dichiarazione del dott. Rozenholc gli eventi stanno precipitando. L'ottantunenne professor Israel, che per decenni è stato direttore del Centro oncologico nazionale di Villejuif nonché il mio peggiore avversario, e il suo assistente Sabbah, che ha partecipato almeno 20 volte ai miei seminari, senza alcuna considerazione delle mie scoperte, dichiarano invece recentemente di essere loro gli scopritori della NUOVA MEDICINA; e, per esempio, il Programma Speciale Biologico e Sensato è stato ribattezzato di punto in bianco con il nome dì evento SOS. Improvvisamente i suoi fratelli di fede ora scoprono che il cancro non è una malattia, bensì un programma biologico sensato che viene diretto dal cervello. Ovviamente entrambi questi imbroglioni scientìfici non hanno mai sentito parlare di Hamer.

Ma veniamo al problema, signor Spiegel. Come pare, gli Ebrei da 15-20 anni hanno praticato la NUOVA MEDICINA in tutto il mondo e in segreto (vedi News n. 45 del 09.11.2000). Così gli Ebrei hanno potuto sopravvivere al 98%. I mass-media però, che in pratica appartengono per il 100% ai suoi amici della B'nai B'rith, dunque anche a Israele, da ventanni propinano ai non-ebrei chemio, irradiazioni e morfina. Il 98% dei malati non ebrei, cioè due miliardi di persone, in questo modo, a causa della repressione della conoscenza della NUOVA MEDICINA imputabile ai suoi amici, risultano essere stati "macellati" nel modo più atroce "olocausto secondo l'uso ebraico".

Come detto, signor Spiegel, io sono l'opposto di un razzista. Mi accosterei con la medesima pazienza al capezzale di un tedesco, un cinese, un africano o un ebreo per cercare di aiutarlo. Ma se ì cinesi commettono dei reati, mi metto contro tali cinesi. E se i suoi israeliti dovessero essere colpevoli del delitto più terribile della storia mondiale, avrei qualcosa contro simili ebrei che si fanno ovunque passare per vittime e perseguitati. Se i suoi amici hanno commesso questo crimine, il più orribile nella storia dell'umanità (io stesso ritengo che solo la loggia suprema B'nai B'rith sia in grado di compiere un reato così impenetrabile di repressione della conoscenza), allora Lei non lo ammetterà, è chiaro, né probabilmente si sentirà autorizzato ad ammetterlo. Ma potrebbe contribuire a porre termine a questo crimine, dopo venfanni e due miliardi di morti. E' possibile che i suoi amici abbiano sottovalutato alcune cose, ad esempio: se uno è stato in grado di scoprire la NUOVA MEDICINA, allora può anche scoprire chi è responsabile della repressione della conoscenza. Dopo la pubblicazione di questa lettera non serve più a nulla fare dei nuovi attentati alla mia vita. I suoi ebrei tenendo nascosta la NUOVA MEDICINA ai non-ebrei, potrebbero essersi squalificati dalla comunità umana mondiale per il resto dei secoli. Dovrebbe temere non solo i parenti delle vittime, ma anche la giustìzia dei morti.

Distinti saluti Dr. Med. Mag. Theol. Ryke Geerd Hamer

Lettera del 10.01.2001

Dr. Med. Mag. Theol. Ryke
Geerd Hamer Apartado de Correos 209 E-29120

Alhaurin el Grande 10 gennaio 2001

Al signor Presidente

del Consiglio Centrate degli Ebrei in Germania Signor Paul Spiegel Leo-Baeck-Haus

Tucholskystr. 9 10117 Berlino

Oggetto: NUOVA MEDICINA / mia lettera del 06.12.2000

Egregio Signor Spiegel,
il non ricevere nessuna risposta può anche già essere un modo di rispondere, non importa se Lei mi deve ancor oggi una risposta alla mia lettera del 06.12.2000, nonostante l'urgenza del suo contenuto. Se è effettivamente vero che tutti i rabbini del mondo consigliano ai loro fratelli di fede che sono malati di cancro di rivolgersi alla NUOVA MEDICINA, dando così loro la possibilità di sopravvivere al 98%, allora ciò non solo solleva molti interrogativi, ad esempio perché i non-ebrei debbano morire al 98%, ma causa anche sconcerto e rabbia. Quale teologo ovviamente conosco il suo Talmud, in particolare i punti in cui si esprime l'odio contro il resto dell'umanità. Vedi la frase: "Uccidere persino il più giusto dei non-ebrei è una cosa buona. I beni dei non-ebrei sono pari al deserto, il primo che se ne appropria ne acquisisce il possesso."

Ma naturalmente una persona può a malapena immaginare che questo odio possa davvero essere praticato nella realtà. Ognuno dice: "Sì, c'è scritto così però non lo fanno."
Per questo anch'io, responsabilmente, ho esitato per 14 anni a pubblicare la mia lettera inviata al Menachem Schneerson. Ma ora che credo di avere trovato la prova per te parole del gran rabbino Denoun (alte quali allora non volevo credere), il non farlo significherebbe nascondere un delitto all'umanità.

Un delitto per il quale due miliardi di pazienti (non ebrei) negli ultimi venti anni sono stati avvelenati con la chemio senza nessuna necessità e nel modo più orrendo e in pratica sono stati addormentati con la morfina. Infatti un ebreo, che sta a guardare come i suoi vicini non ebrei sono in pratica "macellati" miseramente con la chemio e che però sa dal suo rabbino o persino per propria esperienza come si potrebbe evitarne la morte, può solo essere da tutti considerato un mostro.

Subito dopo la pubblicazione dell'articolo di News, "Il ritorno del dott. Hamer", i primi a prendere le distanze da questo crimine sono stati i sefarditi scrivendo che ogni pio ebreo deve poter vivere nella comunità delle altre persone. Ma purtroppo i sefarditi costituiscono solo il 5% di Israele, contro il 95% dei khasari turco-mongoli. Al tempo stesso però i sefarditi hanno confermato la mia congettura che sono stati i sionisti a commettere questo crimine, altrimenti non avrebbero avuto bisogno di prendere le distanze. Ma i sefarditi avevano giustamente già previsto anche questo e infatti scrivono di non voler avere nulla a che fare con gli "eroici" soldati israeliani armati fino ai denti che sparano sui bambini palestinesi che lanciano sassi contro di loro. "Audaci e valorosi soldati israeliani combattono contro i bambini."

Soprattutto i sefarditi in realtà hanno già precorso le conseguenze. Infatti se i sionisti hanno commesso il più grande delitto della storia universale, allora ci si chiede: "Chi è responsabile? E a chi profittava il crimine? A chi è stato utile? Ovviamente è stato o è tutto a vantaggio degli israeliti che sono sopravvissuti al 98% grazie alla NUOVA MEDICINA. Inoltre negli ultimi vent'anni essi hanno potuto crescere da 200 milioni (nel mondo intero) a 400 milioni.

Il mio stesso avvocato, un ebreo con buone intenzioni, ha detto: "Anch'io non posso credere che le 1000 corruzioni perpetuate dai repressori della conoscenza , siano casuali. Questo, oggi, non può più crederlo nessuno. Questo crimine è stato diretto da un potere centrale e questo mondialmente.

E' molto probabile che ne sia autrice la B'nai B'rith cui appartengono tutti i mass-media e le banche e a cui ubbidiscono tutti i politici e i tribunali. Però, aggiunge lui, non ci sono coinvolti tutti gli Ebrei." Quest'ultima frase potrà poi essere oggetto di verifica ai momento della valutazione della colpa collettiva. Se però è proprio accaduto così, allora gli Israeliti si sono squalificati catapultandosi fuori della comunità umana eticomorale per i prossimi secoli.

Signor Spiegel, quando si scopre che probabilmente o molto verosimilmente è stato perpetrato un delitto, e tanto più di questa entità, ai colpevoli restano solo due possibilità: o smettono di compiere tale reato, tentando di riparare per quanto è ancora possibile e dando un segno di buona volontà unitamente a un pentimento operoso; oppure fanno come se nulla fosse accaduto, portano avanti il loro crimine, semplicemente uccidendo chi ha scoperto i loro atti delittuosi.

Attualmente i suoi fratelli di fede e i loro schiavi della loggia diffondono ovunque la notizia che io sono così gravemente malato e che quindi morirò presto. Il consueto preludio, come si sa, quando la loggia B'nai B'rith vuole assassinare qualcuno, infatti si potrebbe poi dire: "Hamer non è stato avvelenato, bensì è stato ucciso dalla sua grave malattia." Ma io non ho nessun sintomo clinico che possa far pensare a una morte imminente, mi sento anzi del tutto bene.

Signor Spiegel, avevo ritenuto che i suoi fratelli di fede fossero più intelligenti. Non creda però che si possa eliminare la scoperta del crimine contro due miliardi di non-ebrei mettendo tutto a tacere, così come si è tentato di nascondere la NUOVA MEDICINA ai non-ebrei. La valanga è già in movimento. Tenti di impedire il peggio correndo ai ripari rapidamente e quanto più ampiamente possibile altrimenti (qui i suoi fratellastri sefarditi hanno ragione) ciò significa la catastrofe totale per tutti i suoi fratelli di fede e per tutti i secoli a venire!

I miei desideri per il nuovo anno 2001 sono orientati in questa direzione. La prego di collaborare a porre termine al massacro dei non-ebrei, come le consigliano anche i suoi fratelli sefarditi.

Dr. Med. Mag. Theol. Ryke Geerd Hamer

 


Lettera del 5.03.2001

Dr. Med. Mag. Theol.
Ryke Geerd Hamer Apartado de Correos

209 E-29120 Alhaurin el Grande Signor Rabbino Denoun

Concistoro centrale dei Gran Rabbini di Francia

19, rue S. Georges 75009 Parigi

Oggetto: lettere qui allegate indirizzate a:

Sig. Paul Spiegel (Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania) Sig. Gran Rabbino Menachem Schneerson

Egregio Signor Gran Rabbino Denoun,

il mio amico Antoine conte D'Oncieu ed io nel 1986 siamo stati suoi ospiti, come Lei sicuramente ricorderà, quando suo fratello era malato di cancro. In quell'occasione Lei ci ha raccontato, per quanto io ne sappia anche alla presenza del suo altro fratello che è medico a Marsiglia, quanto segue: allora ci disse che il vostro capo, il gran rabbino Menachem Schneerson, aveva fatto delle prove insieme con i suoi medici israeliti per verificare se la Nuova Medicina fosse scientificamente corretta arrivando a stabilire che, palesemente, è proprio così.
Quindi M. Schneerson avrebbe scritto a tutti i rabbini del mondo ordinando loro di curare se stessi e i propri pazienti nella sinagoga secondo i principi della Nuova Medicina, perché infatti essa è chiaramente giusta; ciò tuttavia doveva restare un segreto da cui i non-ebrei erano esclusi. Espressi tutto il mio raccapriccio di fronte a Lei (certamente se ne ricorderà ancora) per il fatto che evidentemente in questo modo solo Israele poteva godere della nostra Nuova Medicina, in pratica rubandola alla mia propria gente, di fatto anche a tutti i pazienti non ebrei di questo mondo. Lei ci disse allora che le dispiaceva e che non condivideva tale disposizione, ma era tenuto ad ubbidire all'ordine dato dal suo capo. Le d'issi che avvertivo ciò come una follia criminale di una comunità religiosa. Potenzialmente si trattava di una strage a livello mondiale e la pregai di preoccuparsi affinché questo ordine venisse immediatamente annullato.

A quell'epoca scrissi subito una lettera furente a M. Schneerson (che probabilmente era figlio di Josef S. Schneerson che nel 1939 era stato salvato dal capo della difesa, ammiraglio Canaris, che gli aveva permesso di partire da Varsavia per trasferirsi a New York, alla quale il signor M. Schneerson ha risposto tre anni più tardi inviandomi il suo assistente Vanderby, che mi aveva attirato in Danimarca, per uccidermi là con del veleno. La cosa però non gli riuscì perché me ne accorsi appena in tempo.

Allora non sono stato capace di immaginare che gli Israeliti, soprattutto i Cassidim, avrebbero attuato questa follia religiosa dell'annientamento mondiale dei non-ebrei. Ci vuole un'enorme mancanza di scrupoli e molto disprezzo per l'umanità per consigliare la "terapia" con la chem'io, mortale al 98%, mediante la stampa ebrea (99.9% di tutta la stampa mondiale), facendone però a meno astutamente per se stessi in modo da sopravvivere con la Nuova Medicina al 98% delle probabilità.

Signor Denoun, quando ci siamo conosciuti Lei mi è sembrato un uomo assennato, sono stato ospite a casa sua mentre il suo caro fratello nella stanza accanto lottava per la vita. Se esiste una comunità religiosa come quella ebrea che basandosi sul Talmud si arroga il "diritto" di "eliminare" due miliardi di non-ebrei affetti dal cancro e dalla non-malattia AIDS con chemio e morfina, allora tutti i non-ebrei di questo mondo devono ribellarsi e difendersi. Nessun uomo onesto potrà d'ora innanzi convivere con un ebreo che vorrebbe solo distruggerlo guidato dalla sua follia religiosa ed in più convinto di averne il diritto. A quel tempo (1986) davvero non ho ritenuto possibile ciò che Lei mi ha detto. E nemmeno ho potuto allora comprendere che il più alto ordine medico ebreo evidentemente si è convinto della correttezza della Nuova Medicina mediante una verifica approfondita e riproducibile, ma si è poi preoccupato che tutti i non-ebrei non ne venissero a conoscenza.

Ora so che non solo ciò era vero bensì che le dimensioni di tale orrore sono ancora più grandi di quanto una persona comune possa mai immaginare. Quand'anche gli ebrei si siano nel frattempo abituati, per il loro potere mondiale e per il controllo esercitato dalle logge del mondo intero, a considerare tutti i nonebrei stupidi e codardi, perché tutti cedono e sono corruttibili, sono convinto che le persone stanno progressivamente comprendendo di doversi difendere in futuro per non lasciarsi più uccidere con la chemio, le irradiazioni e la morfina. Che il suo proprio fratello, Dr. Med. Rabbino Denoun di Marsiglia con i suoi amici, il rabbino Israel di Parigi e il rabbino Sabbah di Marsiglia, dopo venfanni e dopo venti frequentazioni dei miei seminari, diano ormai ad intendere di avere scoperto loro la Nuova Medicina o di averla riscoperta, è una cosa ridicola, è semplicemente nel puro stile israelita rubare ogni scoperta mettendo a tacere il vero scopritore e infine eliminandolo.

Quand'anche i suoi fratelli di fede della B'nai B'rith mandassero altri 100 Vanderbys ad assassinarmi, dopo essere sopravvissuto a 10 attentati e aver dovuto guardare in faccia la morte così spesso, ormai conosco la "ars moriendi". Inoltre con dò non si eliminerebbe ancora l'atto criminoso compiuto. Proprio il contrario, infatti il massacro globale di un quarto della popolazione non ebrea non potrà essere e non sarà mai perdonato da nessuno. Signor Denoun, io l'ho conosciuta come una persona intelligente e assennata. Non occorre che mi dia una qualunque risposta evasiva e sciocca. Sono teologo e conosco il Talmud.

Ma di fronte a questo mega-delitto ormai scoperto, al cui confronto tutti i crimini della seconda guerra mondiale sembrano dei piccoli giochi di guerra, Lei dovrebbe avere il coraggio di far porre termine alla repressione della conoscenza della Nuova Medicina per i non-ebrei tramite i suoi colleghi gran rabbini della B'nai B'rith.
Infatti se Lei e i suoi colleghi gran rabbini non metterete immediatamente fine alla repressione della conoscenza della Nuova Medicina per i non-ebrei tentando di riparare a ciò che può ancora essere rimediato, dovrà d'ora innanzi aspettarsi che una catastrofe si abbatta sulla sua comunità religiosa.

Spero che i suoi colleghi Gran Rabbini applichino sufficiente intelligenza in modo da capire che l'ora sta per scoccare, perché nel mondo intero potrebbe nascere un'enorme esacerbazione contro tutti gli ebrei ed alla fine un odio profondo potrebbe sommergerli, forse per secoli. Per di più gli israeliti, anche condizionati dalla loro propria stampa, si erano procurati l'immagine dei perseguitati, cosa che è stata compensata con somme miliardarie in processi di risarcimento interminabili.

Signor Gran Rabbino Denoun, di fronte a due miliardi di pazienti (non ebrei) brutalmente torturati a morte con chemio, irradiazioni e morfina, può ancora dormire tranquillo di notte? Attendo la sua sollecita risposta.

Distinti saluti Dr. Hamer

P.S. A questo punto desidero sottolineare chiaramente che sono il contrario di un razzista o di un fanatico religioso, come siete voi talmudisti. Se però i Cinesi o gli Esquimesi commettessero un reato, nemmeno allora sarei d'accordo. Ciò vale anche per la comunità religiosa di Israele che per il 95% è di origine khasaro-mongola. Il crimine è e resta crìmine!

Lettera del 28.11.2002

Dott. med. Mag. Theol. Ryke Geerd Hamer Editiones de la

Nueva Medicina S.L. Camino Urique 69/ Apdo. 209 E - 29

120 Alhaurin el Grande Fax: 0034 - 952 49 16 97 Alhaurin el Grande 28.11.2002

Israel Shahak Tramite Luehe - Veriag Casella Postale 1245 D - 24 390 Sùderbrarup

Egregio Signor Shahak,

Spero di ricevere una risposta da lei per la questione relativa al più terribile crimine della storia dell'umanità che la sua comunità religiosa ha del tutto palesemente commesso e continua ancora a commettere. Le allego qui le mie lettere:

1.Lettera inviata al Gran Rabbino Menachem Schneerson nel 1986

2.Lettera ai presidenti del Consiglio Centrale degli Ebrei del 06.12.2000

3.Lettera ai presidenti del Consiglio Centrale degli Ebrei del 10.01.2001

4.Lettera al Gran Rabbino Denoun di Parigi del 05.03.2001

A quanto pare questi signori credono di potersi sottrarre alla situazione tacendo mentre continuano ad uccidere ogni giorno; solo in Germania i suoi correligionari assassinano quotidianamente 1000 non ebrei. Posso discutere di questo crimine con lei dato che, in quanto rabbino con un'eccellente conoscenza del Talmud (mi riferisco al suo libro "Storia ebraica-Religione ebraica"), lei sa di che cosa parlo. Cioè che gli Ebrei già fra il 1982 e il 1984 hanno confermato la veridicità della Nuova Medicina mediante il vostro ordine di medici diretto dal Gran Rabbino Mondiale e medico Menachem Schneerson. Risultato: essa è senza alcun dubbio corretta! E' quanto mi ha confidato il Gran Rabbino Denoun a Parigi nel 1986. Posso giurarlo. Come pure che M. Schneerson ha scritto a tutti i rabbini del mondo, in particolare ovviamente ai suoi cassidim, ordinando loro dì curare con inizio immediato tutti i pazienti ebrei solo in conformità a questa Nuova Medicina riconosciuta come giusta, posso giurare anche questo, tenendola però segreta a tutti i pazienti non ebrei. Da lì ha inizio il crimine mediante l'odio talmudico che non solo impedisce di far sapere ai non ebrei che la Nuova Medicina è giusta e consente una probabilità di sopravvivenza del 98%, per esempio nel caso del cancro, bensì promuove per i non ebrei attraverso tutti gli organi di stampa e televisivi ebrei, che sono il 99%, la chemio e la morfina, di cui nel frattempo tutti sanno che causano una mortalità del 98% (secondo il Centro tedesco di ricerca sul cancro di Heidelberg). Lei in quanto rabbino e io come teologo sappiamo che le cose stanno così. Nel suo libro sopra citato lei dice con molta precisione che ogni ebreo che avesse nascosto ad un altro ebreo questa possibilità di sopravvivenza offerta dalla Nuova Medicina verrebbe colpito dalle peggiori punizioni. Quindi dal punto di vista ebraico-talmudico è evidente che dal 1982 o 1983 tutti gli Ebrei del mondo pratichino la Nuova Medicina.

Però il fatto che i suoi Ebrei abusino di questa scoperta, forse la più bella e felice della storia dell'umanità, per uccidere i pazienti non ebrei, intenzionalmente e per i motivi più abietti, esclude per sempre i suoi fratelli di fede dalla comunità umana.

La prego di immaginare il seguente scenario: la metà di tutti gli oncologi attivi in Germania, lo so da fonte sicura, sono di fede ebraica. Se il paziente che viene mandato da un simile oncologo ebreo lo saluta con: "Shalom, shalom", sarà curato, separatamente, secondo la mia medicina germanica e sopravvivrà al 98%. Se un altro paziente si rivolge al medesimo oncologo ebreo dicendo: "Buongiorno, dottore", questo "povero maiale" già mezz'ora dopo si ritrova a fare la chemio. Di solito dopo tre mesi è morto. Il 98% muore nel giro di sette anni, mentre dei pazienti ebrei che non usano chemio, muore solo il 2%.

Signor Shahak, lei sa proprio come me che il Talmud prevede anche le peggiori punizioni per coloro che colpevoli di assassinio e inganno, portano l’intera comunità ebraica ad essere condannata in eterno per il più terribile sterminio di massa. E' proprio quanto sta accadendo. A suo tempo ne ho dato avvertimento, come lei può vedere nella mia lettera al Gran Rabbino Capo Mondiale Menachem Schneerson. Ma la presunzione e la mancanza di scrupoli degli israeliti vi ha risposto solo con una repressione della conoscenza ancor più brutale, con il risultato di due miliardi di morti assassinati. Se anche lei, signor Shahak, non desidera rispondere alla mia lettera mi scriva perlomeno di non essere d'accordo con quanto sta accadendo.

Cordiali saluti

P. S. Finora sono stato ogni volta condannato da giudici rabbini, come lei riferisce correttamente nel suo libro.

L'assassino di mio figlio, è nato da madre ebrea di nome "Coburg", ed è stato assolto da un tribunale di rabbini costituito appositamente per lui, invocando un fantomatico "dubìum" costruito con una probabilità teorica di 1:10 milioni. Il giudice ebreo Colomb ha consigliato al suo correligionario dì ritirare la sua confessione scritta.

Un altro tribunale di rabbini a Chambéry mi ha condannato a un anno e mezzo di prigione senza condizionale a causa di un'unica telefonata fatta dalla Germania alla Francia (alla presidentessa della nostra associazione) avente il contenuto seguente: "Se può inviarmi le TAC le guardo volentieri". Da sei anni è scattato il mandato d'arresto intemazionale emesso dalla Francia. Scopo: rinchiudere Hamer in un istituto psichiatrico francese per tutta la sua vita. In Germania, sempre in un tribunale di rabbini, come lei riporta, è stato ordinato un arresto per un anno e mezzo di prigione (di cui ho scontato più di anno) a causa di tre informazioni date gratuitamente sulla Nuova Medicina. Tutti questi giudici rabbini sanno tanto quanto lei e come tutti i rabbini del mondo che la Nuova Medicina è giusta. Altrimenti non la praticherebbero con il 98% di successo.

Signor Shahak, i suoi fratelli dì fede hanno solo una "coscienza specializzata" che termina ai confini della vostra comunità religiosa. Il vostro aedo vi trasforma m lupi in mezzo a pecore pacifiche allo scopo di uccidere tutti i non israeliti.

Signor Shahak, i suoi fratelli di fede, non solo i rabbini perché anche tutti gli altri hanno partecipato come beneficiari, hanno potuto perpetrare questo assassinio di massa per due decenni tramite la criminosa stampa ebrea e il potere delle logge massoniche che hanno tutte un ebreo per maestro, come lei stesso ben sa. Ma guai se ora tutto ciò viene reso noto, allora forse si saprà pure che i suoi fratelli di fede anche in altre occasioni forse non sono stati i perseguitati, come amano farsi passare. Nella nostra patria chi fa ricerche e scrive la verità è minacciato con due anni di prigione. Faccia in modo che i suoi fratelli di fede pongano fine a questo omicidio di massa, altrimenti gli ebrei subiranno l'odio secolare di tutte le persone pacifiche non ebree.

P.P.S. Ho scritto la lettera precedente nel maggio dell'anno scorso, 2001. Ho riferito in un seminario di essere l'autore di questa lettera e di avere descritto Shahak come uno dei pochi aderenti alla fede ebraica che si è sforzato di essere onesto e ci ha reso un enorme servizio spiegandoci il meccanismo dei tribunali rabbini. Ovviamente anch'egli in quanto rabbino deve essere stato ben al corrente di questo crimine, il più terribile commesso nella storia dell'umanità.

Adesso, dopo che avevo ultimato questa lettera, sono venuto a sapere che Shahak è morto nel luglio 2001 o è stato fatto morire. Forse Shahak, anche se considero assolutamente sbagliata la sua visione per quel che riguarda la storia ebrea più antica, avrebbe avuto la statura per portare a ragione ì suoi confratelli e per porre termine alla follia religiosa dell'assassinio, volontario e cosciente di due miliardi di persone. Resta in dubbio se in seguito qualcuno possa ancora convìvere con simili assassini fanatici religiosi e con i loro complici. La mancanza dì scrupoli da paranoia religiosa supera ogni immaginazione umana.

Pertanto mi sono decìso a scrivere e a pubblicare la mìa lettera, praticamente a morte avvenuta in memoria di questa persona ebrea che almeno in parte ha dimostrato intenzioni oneste. Indicazione bibliografica:

Judische Geschichte - Judische Religion di Israel Shahak edizioni Luhe Verlag

ISBN 3- 926328- 25- 8 lettera del 03.01.2003

Dott. med. Mag. Theol. Ryke Geerd Hamer

Editiones de la Nueva Medicina S.L. Camino Urique 69/ Apdo.

209 E - 29 120 Alhaurin el Grande Fax: 0034 - 952 49 16 97 e-mail:

amicididirk@hotmail.com

Lettera aperta Alhaurin el Grande Rabbino Ben Denoun-Danow Josue
2 9 rue Louis Blanc F–
75010 Parigi Tel.: 0033-1-42393273

Egregio Signor Gran Rabbino Denoun,

lei non ha risposto alla mia lettera del 05.03.2001 sebbene l'abbia ricevuta. Gliela allego qui di nuovo. Questa volta le scrivo al suo indirizzo privato.

Oggi mi rivolgo nuovamente a lei per diversi motivi. Innanzitutto desidero dirle che ho conservato molto bene in luogo sicuro tutte le mie annotazioni che ho scritto nel 1986 alla sua presenza. Se dovesse mai avere dei dubbi circa la correttezza delle mie dichiarazioni, allora ovviamente pubblicherò tutti i particolari che sono pertinenti alla malattia di suo fratello.

Lei non può negare, nemmeno tacendo, quanto mi ha confidato il 27.04.1986 fra le ore 21 e mezzanotte riguardo al suo Gran Rabbino Capo Mondiate Dott. Menachem Mendel. Si immagini di nuovo la scena: il mio amico Antoine conte d'Oncieu e io siamo venuti a Parigi su sua richiesta per aiutare suo fratello con la Nuova Medicina germanica, con le migliori intenzioni. Lei mi disse che la mia Nuova Medicina germanica in futuro sarebbe stata riservata solo agli Ebrei, offrendo loro una possibilità di sopravvivenza del 98%, mentre i miei compatrioti tedeschi non ebrei e tutti i non ebrei del mondo saranno costretti a continuare a subire la folle medicina religiosa ebrea basata sul concetto di maligno e benigno e sulle sue 5000 ipotesi causando la morte per chemio e morfina al 98% (veda anche il Centro tedesco di ricerche sul cancro di Heidelberg). Ci ha pure riferito, come avevo annotato, che il Gran Rabbino Capo Mondiate dott. Menachem Mendel Schneerson già nel 1983 aveva letto il mio libro "Cancro, malattia dell'anima" e immediatamente, come prescrive in simili casi il Talmud per gli Ebrei, aveva convocato i medici rabbini in una conferenza da lui presieduta. Questa "conferenza di verifica" ha stabilito, come le ho già scritto, che la Nuova Medicina è senza alcun dubbio giusta. Nel rispetto del Talmud, Schneerson obbligatoriamente ha subito scritto a tutti i rabbini del mondo per ordinare loro di curare senza indugio tutti i pazienti ebrei secondo la Nuova Medicina. E' una cosa che anche ogni medico non ebreo avrebbe dovuto fare per i non ebrei, se solo fòsse stato possibile.

Però il fatto che il vostro Gran Rabbino Schneerson ha disposto espressamente che questa mia Nuova Medicina (germanica) dovesse restare nascosta a tutti i non ebrei (proprio come lei mi ha riferito!) a mio avviso rende questo Gran Rabbino "messianico" il peggiore massacratore di tutta la storia. Ciò concorda con il fatto che tre anni dopo mi ha attirato in Danimarca tramite il suo sostituto "Beek" Vanderby (vedi fotografie), il capo supremo della loggia B' nai B'r'rth, per assassinarmi con il veleno. Lei lo sa benissimo, infatti si tratta del rabbino suo diretto superiore. Non solo la disposizione del Gran Rabbino Capo Mondiate è stata strettamente osservata da tutti i rabbini del mondo, bensì tutti i gran maestri ebrei della loggia B' nai B'rith hanno ordinato ai loro piccoli schiavi di loggia, primari e professori di eseguire rigorosamente lo sterminio di massa dei non ebrei. Così pure hanno costretto tutti i caporedattori dei mass-media a perpetuare una campagna di repressione della conoscenza senza precedenti nella storia contro la Nuova Medicina e in particolare contro la mia persona dichiarandomi "stregone, ciarlatano" e tutti i giudici a collaborare al crimine.

Il suo Gran Rabbino, che i suoi amici a quel tempo consideravano il messìa, sarà ricordato come il peggior satana in carne ed ossa.

In quell'occasione lei ci ha anche detto, come io ho accuratamente annotato alla sua presenza, che il Gran Rabbino ha spinto alcuni medici rabbini, per esempio Sabbah e per quanto ne so io anche suo fratello, entrambi di Marsiglia, a partecipare ai miei seminari di Chambéry per scoprire come si applica la Nuova Medicina a vantaggio dei vostri pazienti ebrei.

Il signor Sabbah e il signor Israel, che per due decenni ha fatto morire migliaia di non ebrei a Villejuif ma ha sempre scrupolosamente salvato la vita ai suoi confratelli ebrei senza chemio e morfina, entrambi questi signori (Sabbah ha partecipato venti volte ai miei seminari) da un po' di tempo affermavano, ventanni dopo, di avere scoperto loro la mia Nuova Medicina germanica. Già nel 1991 un giudice ebreo del tribunale di Colonia (il cosiddetto "tribunale di rabbini") si è alzato e ha detto:

"Signor accusato, (accusato di avere regalato una stecca di gesso) il tribunale ha deciso di consigliane di non occuparsi più di medicina, bensì di guadagnarsi da vivere con qualcos'altro che non abbia nulla a che vedere con la medicina; solo così lei potrà sottrarsi alla carcerazione".

L'intento era quello di tacitarmi e di lasciare in seguito "scoprire" di nuovo la Nuova Medicina agli Ebrei. Lo stesso giudice del tribunale di Colonia nel 1991 alla fine ammise anche la cosiddetta "trappola di Francoforte", un gioco combinato fra quattro tribunali (pretura e tribunale di Colonia, alto tribunale amministrativo di Koblenz e corte d'appello di Parigi).

La trappola consisteva nel rinchiudermi per il resto della mia vita in una clinica psichiatrica a causa di "perdita del senso della realtà", ovvero alla lettera "insufficiente capacità di revisione autocritica" (di abiurare). La Nuova Medicina, che allora era già praticata da almeno otto anni da tutti gli Ebrei del mondo con il 98% di successo nella cura del cancro, secondo loro era falsa. Tutti i giudici ebrei sapevano che invece è corretta. Signor Gran Rabbino deve ammettere che l'assassinio di massa per la repressione della conoscenza è stato sistematico e intenzionale. La prego di rendersi conto della gravità e della mancanza di scrupolo di questo crimine. Tutti i caporedattori che hanno organizzato la caccia alle streghe contro di me e hanno riportato pure menzogne nei toro giornali e nelle toro trasmissioni televisive, tutti i professori che avrebbero dovuto eseguire una verifica assolutamente necessaria anche per i non ebrei, tutti i giudici che di fatto avrebbero dovuto decidere secondo la toro coscienza e far controllare la correttezza della Nuova Medicina, sono stati costretti a mostrare disinteresse. Beninteso: ben sapendo che 100 milioni dì pazienti ebrei in tutto il mondo praticano questa Nuova Medicina germanica e per esempio nel caso di una malattia oncologica sono sopravvissuti per il 98% grazie a questa Nuova Medicina germanica.

L'infamia e la mancanza di scrupoli della follia religiosa dei suoi correligionari travalica qualsiasi capacità di immaginazione criminosa. Non si tratta certo di un paio di membri, per esempio della loggia suprema B'nai B'rith, che collocano un maestro in ciascuna loggia bensì negli ultimi ventanni ciascuna famiglia ebrea praticante ne ha tratto beneficio, cioè uno o più membri sono sopravvissuti, segretamente, grazie alla Nuova Medicina germanica. E ogni famiglia ebrea ha lasciato morire di cancro i membri di quella vicina non ebrea pur essendo benissimo in grado di aiutarli; questi Ebrei però non hanno potuto farlo per folli motivi religiosi. Simili vicini si possono soltanto definire mostri.

Signor Gran Rabbino Denoun-Danow le offro una possibilità: venga in Spagna con il massimo potere possibile a discutere con me di questo megacrimine dei suoi correligionari. C'è una cosa sola che lei deve sapere: nulla e nessuno a questo mondo può corrompere Hamer.

Con questo sentimento Dott. Med. Mag. tneol. Ryke Geerd Hamer

P.S. Non costituisce certo nessuna violazione del segreto medico se richiamo di nuovo alla sua memoria quanto segue: come lei si ricorderà, io ero contrario a somministrare a suo fratello 8 mg di Prednisoton i.v. ogni due ore. Suo fratello medico dì Marsiglia, non si è però lasciato dissuadere. Oggi so che il cortisone, nel caso di una cosiddetta "sindrome", ha un effetto paradossale: cioè causa un maggiore accumulo di acqua invece di aiutarne l'eliminazione. Se avessimo tutti collaborato, mentre invece i suoi colleghi hanno bloccato la Nuova Medicina per noi tedeschi e per tutti i non ebrei, avremmo potuto scoprire queste cose in modo molto più efficiente e rapido. Forse il suo povero fratello che morì tre settimane dopo, il 18.05.86, senza cortisone si sarebbe potuto salvare. Voglio riferirle ancora tre cose che sono state commesse davanti ai suoi occhi a Parigi e a Chambéry dai suoi amici ebrei e colleghi rabbini.

1. Abbiamo ricevuto l'ordine dal nostro consiglio superiore di non parlare se non in termini negativi della famiglia Hamer. Nel 1979, quindi due anni prima della scoperta della Nuova Medicina, feci visita al capo ebreo del servizio estero della Springer a Parigi, il signor Weissenberger. Chiesi al vostro compagno di sinagoga, Weissenberger, perché egli scrivesse solo degli articoli negativi e infamanti sulla famiglia Hamer e invece parlasse bene del principe ebreo di Savoia, l'assassino del nostro Dirk. Il signor Weissenberger innanzitutto allontanò dalla stanza il suo assistente e poi mi disse: "Signor Hamer, lei in venta è un uomo simpatico e la sua è una famiglia modello: entrambi i genitori medici e 4 bei figli in gamba . Ma lei ora è il nemico delle case reali europee perché non rinuncia al processo. Non si può ottenere un processo contro un simile principe (P2). Perciò abbiamo ricevuto istruzioni dal consiglio superiore dell'editrice Springer di scrivere solo cose negative sulla famiglia Hamer. Anche nel caso ricevesse il premio Nobel, sicuramente non sprecheremmo nemmeno una riga per lei, ma se lei rubasse una tavoletta di cioccolato al supermercato le garantisco che sulla prima pagina del giornale illustrato ci sarebbe scritto a caratteri cubitali: Dott. Hamer: "Sono un ladro".

2.Giudice rabbino Colomb: abbiamo un "dubium": il prìncipe è innocente.

Nel novembre 1991 erano terminati i preparativi per uno dei processi più spettacolari di un tribunale di rabbini suoi amici e colleghi a Parigi, come riferisce Israel Shahak nel suo libro "Storia ebraica- Religione ebraica" (edizioni Luhe). Per questo processo il proselito Mìtterand aveva costituito appositamente un nuovo ufficio giudiziario composto da giudici ebrei (Colomb, David, Jordan). Per la scelta dei giurati era di turno il quartiere ebreo. Il tribunale di rabbini doveva assolvere dall'accusa di omicìdio il principe ebreo di Savoia. Il giudice rabbino presidente Colomb consigliò al suo amico (= amico intimo dì Mitterand), il Gran Maestro della criminosa loggia P2, commerciante di armi, in passato amico dello Scià Resa Puch Lewi (= felice forte Lewi), assassino di mio figlio Dirk, di ritirare semplicemente la sua confessione scritta. Cosa che il principe di Savoia fece con gioia come d'accordo.

Quindi il giudice rabbino costruì egli stesso un'ipotesi: in via del tutto teorica era possibile che quando erano partiti i due colpi dalla carabina K2, la cui traiettoria di circa sette metri era stata ricostruita quasi al centimetro, dunque che nell'istante in cui erano stati sparati questi due colpì un altro tiratore emerso dall'acqua fosse saltato nel canotto del principe Savoia (senza però che questo oscillasse) e avesse sparato anche lui due colpi contemporaneamente al principe, con lo stesso tipo di carabina, dello stesso calibro, con la stessa traiettoria e fosse poi di nuovo scomparso.

Il caso vuole che nessuno dei 30 presenti, che guardavano a 10 metri di distanza l'atto eroico del principe, lo vedesse. Era già abbastanza chiaro e inoltre Marina Doria, sua complice, aveva puntato sulla scena il faro del suo veicolo fuori strada. Ovviamente, così ammise il giudice rabbino Colomb, questa possibilità puramente teorica andava valutata con una probabilità di 1:10 milioni o meno. Ma a quel punto il giudice rabbino si alzò e annunciò in modo teatrale:

n Abbiamo un dubium - in dubio prò reo - il principe accusato è innocente." Ottenere il consenso dei giurati ebrei fu una pura formalità.

Secondo questo giudizio del tribunale-truffa di rabbini Sua Altezza Serenissima, l'assassino di mio figlio, ora è "innocente". Lei ha visto tutto ciò molto da vicino, infatti come ho saputo il giudice rabbino Colomb (= colomba) è suo collega.

L'omicida di mio figlio, che è il capo della criminosa loggia P2, quest'anno è stato invitato in patria dal Parlamento e dal Senato italiano per desiderio del suo fratello di loggia Berlusconi (in ebraico: grande figlio di Luca). La vigilia di Natale l'assassino con la sua complice è stato ricevuto con grande cordialità e abbracci dal papa ebreo Woityla-Katz (Katz = Khan Zadok) Giovanni P2. Per contro il papa ha il piacere di lasciar languire in carcere da molti anni il suo attentatore Ali Aksha. Lo perdona di nuovo tutti gli anni.

3. A Chambery: condanna a un anno e mezzo di prigione senza condizionale da parte di un tribunale di rabbini per un'unica telefonata dalla Germania alla Francia (contenuto della telefonata: "Se può inviarmi le TAC le guardo volentieri"), sette anni di mandato di arresto internazionale.

Signor Denoun-Danow, lei mi conosce: non sono né razzista né antisemita (sarebbe cosa priva di senso perché gli Ebrei in effetti non sono "semiti", che non esistono affatto, bensì al 95% Khasari, dunque Turco-mongoli). Sono semplicemente un tribuno incorruttibile dei miei pazienti, di tutti pazienti del mondo. Potrebbe pensare che non sia necessario rispondere. Ma oggi sarebbe probabilmente molto felice se fossimo ancora nel 1986 e lei potesse cancellare l'assassinio di 2-3 miliardi di non ebrei innocenti. Così un giorno si rallegrerebbe di avere raccolto questa forse ultima offerta invece di lasciar uccidere altri milioni di non ebrei. La collera dei non ebrei cresce smisuratamente... http://media.wix.com/ugd/446705_2e5f3773e28240e8876aa2393f078cac.pdf

http://www.nuovamedicina.com/biografia.htm

Il lavoro di Hamer s’inserisce all’interno dello storico filone di ricerca psicosomatico, ma le conclusioni a cui arriva completano così tanto il quadro da andare a ridefinire nella sostanza il concetto stesso di malattia. La reazione del mondo accademico non fu favorevole, ma le recenti acquisizioni della neurobiologia spiegano esattamente cosa succede a livello psichico, cerebrale ed organico durante la DHS e come mai la tutta ricerca sullo stress abbia fallito, mantenendo i ricercatori all’interno dell’antica convinzione della malattia come “errore della natura”.

Dott. Danilo Toneguzzi, psichiatra, psicoterapeuta; presidente Comitato Scientifico di ALBA (Associazione Leggi Biologiche Applicate)

 

L’origine della malattia.

Nel 1981 il dott. Hamer condensò nella “Legge ferrea del cancro” la prima legge biologica da lui scoperta: ogni programma speciale, biologico e sensato (SBS) inizia con una DHS (Sindrome di Dirk Hamer), cioè con uno shock conflittuale gravissimo, inaspettato, altamente drammatico e vissuto nell’isolamento (Hamer, 1981). La scoperta che le malattie corrispondono ad un processo biologico con una sequenza di fasi ben precise (programma SBS) e che sono causate da un evento psichico con determinate caratteristiche (DHS) ha posto le basi per una nuova comprensione della genesi della malattia e per un definitivo superamento del dualismo tra mente e corpo.

Con la formulazione della legge ferrea del cancro, il dott. Hamer ha posto una pietra miliare verso un cambio di paradigma, una vera e propria rivoluzione copernicana che ha permette finalmente di poter dare risposte molte più esaustive alla domanda che dalla notte dei tempi l’uomo si pone, cioè: “Perché ci si ammala?”, e che ridefinisce la malattia, nella sua sostanza, come evento sensato dell’organismo, e non come un evento “sbagliato” come si era, invece, sempre pensato.

DHS è l’acronimo di Sindrome di Dirk Hamer, nome che il dott. Hamer diede all’evento che lo colpi personalmente nel 1978, quando suo figlio fu ucciso e che, in seguito, gli causò un cancro al testicolo. La DHS è un evento che colpisce l’individuo in maniera inaspettata, uno shock acuto, drammatico che lo coglie in contropiede e che da luogo ad una cascata di eventi biologici; tra l’altro, tali conseguenze, attivate dalla DHS, da sempre indicate con i termini di “sintomi” o “malattia”, non sono casuali ma seguono una sequenza precisa andando a costituire un processo biologico denominato, invece, dal dott. Hamer “Programma SBS”, dove SBS sta per “sensato”, “biologico” e “speciale”.

La DHS, quindi, da avvio ad un programma SBS; in altri termini, uno shock inaspettato determina l’attivazione di un funzionamento normalmente inteso come patologico dell’organismo. Per dirla in termini ancora diversi, un evento psichico sta alla base e determina un evento fisico e quindi la malattia è la precisa espressione sul corpo di un preciso evento emotivo.

Le conclusioni a cui giunge Hamer si inseriscono all’interno di un lungo filone di ricerca e ne completano magistralmente il quadro; ma vediamo, nello specifico, come è avvenuto tutto ciò.

Antecedenti nella letteratura del Novecento.

Nella letteratura scientifica e tradizionale, l’idea di una correlazione tra eventi emotivi e malattie, in realtà, viene da molto lontano, soprattutto da quando, nel secolo scorso, si è aperto un filone di ricerca in merito allo “stress” e alle sue conseguenze sulla salute. Pioniere di tale filone fu Hans Selye il quale, scrivendo una lettera alla rivista “Nature” già nel 1936 diede avvio a questo campo d’indagine che, a tutt’oggi, si stima abbia prodotto non meno di 150.000 pubblicazioni (Favretto, 1994). Gli studi sullo stress, infatti, iniziati da Selye ma proseguiti successivamente da altri numerosissimi ricercatori, rappresentano i pilastri delle concezioni da cui si è sviluppata la Medicina Psicosomatica in tutta la seconda metà del Novecento. Ma il successo della Medicina Psicosomatica rimane a tutt’oggi quanto mai controverso: nonostante una serie di acquisizioni più o meno accettate, lascia aperti alcuni interrogativi fondamentali. Ad esempio, come si spiega la scelta dell’organo? Cioè, perché lo stress determinerebbe in alcuni soggetti una dermatite ed in altri un’asma? Oppure, perché determinati soggetti, visibilmente stressati, non si ammalano? E perché qualcuno, pur conducendo una vita, tutto sommato, tranquilla, sviluppa un tumore? Ed infine, perché spesso si può notare che le persone non si ammalano sotto stress, ma quando lo stress finisce, come ad esempio nel caso dell’emicrania da week-end o nel caso in cui gli individui si ammalano quando vanno in vacanza? A questi interrogativi la medicina psicosomatica non è mai riuscita a dare delle risposte precise e univoche.

In ogni caso, gli antecedenti delle acquisizioni che connettono gli eventi psichici agli eventi fisici vanno ricercati già all’inizio del secolo scorso. Un contributo fondamentale avvenne ad opera di Walter Cannon, il quale diede una svolta fondamentale nella comprensione dei meccanismi di funzionamento dell’organismo formulando la teoria dell’omeostasi (Cannon, 1932). Nel continuo rapporto con l’ambiente in cui è immerso, cioè, l’organismo vivente è impegnato incessantemente nel mantenere costanti le condizioni del suo ambiente interno: l’omeostasi, quindi, è, al tempo stesso un mezzo ed un fine per la sopravvivenza degli individui. In questo processo di continuo adattamento, l’organismo interviene sull’ambiente e reagisce ad esso per mantenere l’equilibrio. Cannon identificò tra queste reazioni dell’organismo impegnato nel processo di adattamento una specifica forma che chiamò reazione d’allarme, ovvero una risposta automatica che viene attivata in determinate condizioni particolari. Egli aveva messo in evidenza, ad esempio, come un incremento della secrezione di adrenalina e noradrenalina da parte della porzione midollare delle ghiandole surrenali avesse una funzione indispensabile, anche negli animali, nel predisporre l’organismo a comportamenti di attacco e di fuga. Tale reazione si accompagna, infatti, all’aumento della pressione sanguigna, all’incremento della frequenza cardiaca, alla vasocostrizione periferica, alla dilatazione pupillare, alla riduzione della salivazione, all’incremento della funzionalità respiratoria, all’aumento della sudorazione, ecc (Cannon, 1929).

La ricerca sullo stress.

Selye, il ricercatore che, come detto poc’anzi, aprì la strada a tutto il filone di ricerca sullo stress e sul concetto di psicosomatica, scoprì successivamente che le reazioni fisiologiche studiate da Cannon non erano le uniche manifestate da un organismo in difficoltà ma che costituivano una concatenazione di eventi omeostatici e modificazioni fisiologiche nella funzione di adattamento di cui la reazione d’allarme non è che il primo passo. Per questo, prendendo a prestito un termine dalla metallurgia che indicava gli effetti delle grandi pressioni sui metalli, Selye denominò stress quel insieme di modificazioni a carico dell’organismo e, più specificatamente, Sindrome Generale di Adattamento quel processo, articolato in tre fasi e finalizzato all’adattamento, scatenato da stimoli stressanti di natura diversa (Selye, 1936).

Per Selye, lo stress è “una risposta generale, aspecifica dell’organismo a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente” (Selye, 1974). Il concetto fondamentale consiste nell’evidenziare qualcosa che avviene generalmente, in modo aspecifico, indipendentemente dalla natura dello stimolo. Da questo punto di vista, la teoria della Sindrome Generale di Adattamento di Selye fu estremamente innovativa: con il suo carattere aspecifico venne messa in luce l’esistenza di un meccanismo che elude la tradizionale visione che un effetto, una risposta biologica, sia sempre riconducibile ad una sola causa. Tradizionalmente, infatti, si era portati a ritenere che la risposta dell’organismo fosse specifica al tipo di richiesta: ad esempio la sudorazione come reazione al caldo, il brivido come risposta al freddo e così via. Selye, invece, enfatizza una risposta aspecifica, una sindrome generale che ha la funzione di favorire l’adattamento dell’organismo ad uno stimolo “stressante”, indipendentemente dalla sua natura, dove la reazione d’allarme di Cannon rappresenta solo il primo passo.

Passo dopo passo, le considerazioni di Selye giunsero a considerare lo stress come un fenomeno naturale e fisiologico e, come tale, qualcosa che non può e non deve essere evitato: “La completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quello che si pensa solitamente, non dobbiamo e, in realtà, non possiamo evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace e trarne vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi, ed adattando la nostra filosofia dell’esistenza ad esso” (Selye, 1974)

Mosso dalle sue osservazioni, Selye tentò di interpretare in modo semplice la concatenazione di eventi biologici, di meccanismi e di risposte che, se da un lato si connettevano alle scoperte di Cannon sulla generale reazione d’allarme e sull’idea dell’organismo impegnato costantemente nella funzione omeostatica e di adattamento, dall’altro non apparivano giustificabili nell’ambito di una scienza biomedica che in quei tempi si sosteneva in modo molto strutturato sullo studio delle manifestazioni patologiche come effetti specifici di cause specifiche. Pertanto l’obiettivo che coinvolse Selye fino alla fine fu quello di ricercare quel principio o quella sostanza biochimica in grado di giustificare quel complesso di reazioni che lui aveva considerate generalizzate e sintoniche in grado di presentarsi stereotipate anche di fronte a richieste e a stimoli ambientali (nocivi e non) ampiamente diversi. Questo ipotetico “first mediator”, come lo definì Selye, o “mediatore unico” era quella sostanza, presente in tutti i tipi di stress, in grado di giustificare e di spiegare una così ampia e variegata gamma di cambiamenti: una sostanza in grado di scatenare la medesima Sindrome Generale di Adattamento da stimoli molto diversi. In primis egli identificò questo mediatore unico nell’ormone adrenocorticotropo ACTH, che sembrava essere presente in tutte le risposte di stress negli animali da laboratorio; successivamente, però, dal momento che l’ACTH è presente prevalentemente in una delle tre fasi della sindrome, Selye ipotizzò che probabilmente il mediatore unico andava ricercato nelle sostanze che negli anni Ottanta vennero isolate nel cervello, le encefalite e le endorfine.

Nello specifico, la Sindrome Generale di Adattamento descritta da Selye si articola in tre fasi fondamentali.

La prima fase s’identifica con la reazione di allarme scoperta da Cannon e denominata anche da Selye, per l’appunto, fase d’allarme. Essa è caratterizzata dalle attivazioni del sistema neurovegetativo, di tipo adrenergico, in cui la secrezione delle principali catecolamine, adrenalina e noradrenalina, permette una rapida reazione del sistema nervoso autonomo simpatico. Adrenalina e noradrenalina, infatti, sono due ormoni secreti dalla midollare del surrene che vengono utilizzati quali mediatori intersinaptici nel sistema simpatico e che permettono un’immediata risposta del nostro organismo ad uno stimolo stressante. La fase d’allarme, tra l’altro, viene suddivisa da Selye in due sottofasi: la fase dello shock, che corrisponde ad un’iniziale caduta al di sotto del livello fisiologico di funzionamento dell’organismo, e quella di controshock, che corrisponde, di fatto al secondo momento, reattivo, nel quale si attiva il sistema simpatico grazie l’intervento delle catecolamine. In ogni caso, la fase di allarme è necessariamente rapida ed immediata, ma anche labile, vista la velocità con la quale adrenalina e noradrenalina vengono metabolizzate.

La fase successiva della Sindrome Generale di Adattamento è chiamata da Selye fase di resistenza. Questa fase ha una durata maggiore ed è sostenuta da fenomeni endocrini in cui l’ACTH ed altri ormoni adenoipofisari, cioè della porzione anteriore dell’ipofisi, hanno una funzione fondamentale. Se, quindi, nella risposta ormonale immediata della fase d’allarme viene sollecitata la midollare del surrene, nella fase di resistenza è la parte corticale del surrene ad essere interessata, con il rilascio degli ormoni glucocorticoidi, in particolare del cortisolo. L’effetto di tali ormoni è sempre quella, come nel caso delle catecolamine, di mantenere alta l’attivazione del sistema nervoso simpatico, che predispone l’organismo alle azioni necessarie ai fini dell’adattamento. La fase della resistenza perdura tutto il tempo nel quale permane lo stimolo stressante e, secondo Selye, sarebbero proprio i fenomeni legati allo stress, ed in particolare alla fase di resistenza della Sindrome Generale di Adattamento, a contribuire a quelle manifestazioni di deterioramento che vedono nella vecchiaia l’espressione più visibile. Se la fase di resistenza perdura troppo a lungo, infatti, si manifesta nell’organismo la terza fase, secondo Selye della Sindrome Generale di Adattamento, che egli denominò fase di esaurimento, nella quale si assiste ad un vero e proprio sfiancamento delle risorse dell’organismo, con una perdita graduale della vitalità stessa e l’insorgenza, quindi, di malattie.

In sintesi, quindi, secondo Selye, lo stress viene visto come una reazione fisiologica aspecifica, finalizzata all’adattamento, a qualunque richiesta di modificazione esercitata sull’organismo da una gamma assai ampia di stimoli eterogenei, ed espressa essenzialmente da variazioni di tipo endocrino (attivazione della midollare e della corteccia del surrene) che sbilanciano il sistema neurogetativo a favore del sistema simpatico. I punti salienti sono quindi:

  • il carattere di aspecificità;
  • il carattere fondamentalmente adattivo;
  • il carattere di reazione neurovegetativa a mediazione endocrina.

La teoria di Selye, che in ogni caso aprì la strada ad un ricchissimo filone di ricerca, manifestò ben presto delle lacune. In primo luogo, le ricerche effettuate da Selye partivano dall’analisi degli effetti sull’organismo da parte di agenti stressanti fisici o chimici messi a diretto contatto con l’organismo, come inoculazione di sostanze o contatto con agenti fisici; sappiamo, però, dall’esperienza che non soltanto tali stimoli, fisici o chimici prossimali, sono in grado di produrre risposte di stress: anche agenti distali, quali un evento relazionale o un’informazione, possono rivelarsi fonti di stress che, quindi, inducono una risposta non tanto sulla base di una componente fisica misurabile, quanto piuttosto sulla base della risonanza psicologica soggettiva che sono in grado di determinare. Questa considerazione ha aperto tutto un filone di ricerca sul significato simbolico e sulla risonanza intrapsichica che determinati stimoli detengono, evidenziando significative variabilità che differenziano risposte di individui diversi nei confronti di uno stesso stimolo. In secondo luogo, se stimoli così diversi possono indurre una reazione biologica da stress, come è possibile che esista un unico identico fattore neurormonale, come era stato identificato l’ACTH, quale mediatore comune (first mediator)? Infine, a proposito del carattere di aspecificità, se la risposta di stress è unica, perché gli individui si ammalano di malattie diverse?

Il ruolo delle emozioni.

Le ipotesi su quale fosse l’agente di attivazione della Sindrome Generale di Adattamento si spostarono, pertanto, dall’idea originaria di Selye di un unico mediatore biochimico a quel substrato di natura psicofisiologica che coincide, di fatto, con le strutture ed i meccanismi che sostengono le emozioni. Esponente di maggior spicco di tale ipotesi fu J. Mason il quale, partendo dall’osservazione che l’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene reagisce ad un gran numero di stimoli psicosociali, suscettibili di indurre una reazione emozionale e che la reazione corticosurrenale a stimoli emotivi è sostanzialmente identica a quella descritta da Selye nella fase di resistenza della reazione da stress, effettuò una serie di ricerche basate sulla dissociazione dello stimolo fisico dallo stimolo emotivo nello stress dando un sostegno empirico alla teoria da lui formulata secondo la quale il mediatore nella reazione da stress sarebbe proprio l’emozione (Mason, 1971). In questa prospettiva, sia l’attivazione del sistema ipotalamo-ipofisi-corticosurrene che l’attivazione della midollare del surrene che seguono all’esposizione a stimoli fisici di varia natura sarebbero comunque una diretta conseguenza dell’eccitamento emozionale che accompagna o precede immediatamente la stimolazione fisica. A svolgere un’azione generalizzante sarebbero, quindi, per Mason, i medesimi meccanismi psicofisiologici coinvolti nelle emozioni e sostenuti dagli apparati neuroanatomici che presiedono alla genesi, al mantenimento ed al verificarsi delle manifestazioni centrali e periferiche legate alle emozioni stesse.

La prospettiva di Mason fu particolarmente significativa dal momento che, attribuendo un ruolo fondamentale alle implicazioni emotive, ha permesso di comprendere meglio i dati sperimentali che depongono in favore sia della specificità che della aspecificità dello stress.

La ricerca sullo stress parte, quindi, dall’osservazione di determinate reazioni generali dell’organismo in risposta a richieste ambientali generate da stimoli di natura diversa; la compresenza, però, sia di elementi aspecifici, come la Sindrome Generale di Adattamento, che di elementi specifici in base alla natura degli stimoli, ha indirizzato progressivamente tali ricerche sul versante delle reazioni emotive e sulle loro implicazioni, un campo di studio, peraltro, quanto mai controverso e difficile in tutta la storia delle neuroscienze. Anche il ruolo e i meccanismi di funzionamento delle emozioni, infatti, hanno rappresentato da sempre un campo di indagine da parte di filosofi e scienziati, senza giungere, di fatto, ad una definizione e ad una comprensione unanimemente condivisa: come affermano Fehr e Russel, “ognuno sa cos’è un’emozione finché gli si chiede di definirla” (1984)

L’importanza delle emozioni nelle reazioni dell’organismo finalizzate all’adattamento e, nello specifico, nella Sindrome Generale di Adattamento ha portato, in ogni caso, alcuni ricercatori ad elaborare il concetto di stress psicologico, indirizzando, così, inevitabilmente, questo filone di ricerca sempre più nella strada delle correnti psicologiche.

Magda Arnold, dapprima, e Richard Lazarus, successivamente, hanno, ad esempio, centrato le loro ricerce sul concetto di “valutazione soggettiva” dello stimolo stressante: se uno stimolo non è valutato come rilevante per l’individuo, a livello conscio o inconscio, non si verifica alcuna attivazione emozionale e dunque non sarà considerato stressante. Questa prospettiva, che vede, quindi, nella valutazione congitiva la “condizione necessaria e sufficiente dell’emozione” rimane tuttora la pietra angolare della prospettiva cognitivista (Lazarus, 1991).

Una voce particolarmente importante, che si distaccò dalla corrente più accreditata in merito alla ricerca sullo stress e che, come spesso succede, fu boicottato dall’estabilishement accademico, fu Henri Laborit, un biologo francese che negli anni Settanta scoprì che i disordini somatici causati da aggressioni psicosociali sono provocati da uno stato particolare che lui denominò di inibizione dell’azione. In seguito scoprì anche che l’inibizione dell’azione persistente provocava disturbi a carico della memoria.

Nelle sue ricerche, Laborit utilizzava la procedura dell’invio di uno stimolo doloroso (una scossa di corrente) a dei ratti rinchiusi in una gabbia.

Nella prima situazione, il ricercatore mandava la scossa sul pavimento della gabbia, comunicante attraverso una porta con un’altra gabbia non raggiunta dalla corrente: alla scossa, il ratto imparava velocemente a passare nell’altra gabbia e se le condizioni si invertivano (la scossa era inviata nella gabbia in cui il ratto era fuggito) questi ritornava velocemente nella prima. Sottoposto a tali stress per una settimana, il ratto non presentava alcuna lesione patologica: la sua salute restava eccellente.

Nella seconda situazione, la gabbia su cui veniva inviata la scossa elettrica non comunicava con nessun’altra gabbia ma all’interno venivano posti due ratti, anziché uno solo, come nella prima situazione. Alla scarica elettrica, i ratti non potevano fuggire e iniziavano a lottare tra di loro: dopo una settimana di esposizione a tale stress, le loro condizioni di salute si rivelavano eccellenti.

Nella terza situazione, la gabbia era sempre isolata ed il ratto era solo. Alla scarica elettrica, il ratto non poteva fuggire né combattere con qualcun altro: dopo una settimana, presentava segni di dimagrimento importante, ipertensione arteriosa e lesioni multiple alla mucosa gastrica.

Henri Laborit imposta lo studio del cervello e dello stress attraverso il concetto di aggressione: “Quando incontriamo nell’ambiente esseri e cose che ci sono gradevoli, che ci permettono di mantenere questo principio del piacere, nei mammiferi abbiamo un sistema che permette di memorizzare la strategia che abbiamo utilizzato, la nostra esperienza: ricominciamo lo stesso comportamento per ritrovare il piacere. (…) Se invece, al contrario, il vostro contatto con l’ambiente é pericoloso, se non fa piacere, se é doloroso, cominciate a fuggire e, se non potete fuggire, combattete, vale a dire vi orientate verso l’ambiente per distruggere l’oggetto del vostro risentimento.

“La novità, la scoperta é che, quando non potete né farvi piacere, né fuggire, né lottare, vi inibite. Il significato biologico dell’inibizione é: meglio non agire, per non essere distrutti dall’aggressione. Ciò va bene se serve a salvare al momento la vostra pelle, la vostra struttura. Ma se non siete in grado di sottrarvi molto rapidamente, da questo stato di inibizione, di attesa in tensione, allora in quel momento comincia tutta la patologia” (Laborit, 1970).

Secondo Laborit, questa inibizione d’azione si accompagna alla liberazione di ormoni come i glucocorticoidi e neuro-ormoni come la noradrenalina che tendono ad indebolire fino a distruggere il sistema immunitario. Ciò genera vulnerabilità alle infezioni ed ai tumori. Non si fa un cancro per caso, sostiene Laborit e la lista delle malattie dell’adattamento é lunga.

La sindrome d’inibizione dell’azione, che s’instaura allorché l’aggressione psicosociale si protrae nel tempo e non é risolvibile né con la lotta né con la fuga, ha un aspetto chimico, un aspetto neurofisiologico ed un aspetto comportamentale.

Per Laborit, la salute non è soltanto il mantenimento dell’omeostasi ristretta, dell’equilibrio interno, ma significa mantenere il proprio equilibrio in relazione all’ambiente esterno, con il quale dobbiamo negoziare in continuazione le condizioni per il nostro equilibrio. Quando ciò non è possibile, la risposta naturale è la lotta o la fuga per eliminare ciò che ci impedisce di essere in equilibrio. Ma se le condizioni ambientali non ci consentono né di gratificarci, né di lottare, né tanto meno di fuggire, l’ambiente ci modifica al di là delle possibilità di difesa. In questo caso, si dice che “subiamo l’ambiente”, in altre parole ne riceviamo un’aggressione, e allora il rapporto con l’ambiente ci disorganizza. Per Laborit, quindi, è nell’aggressione, intesa in questi termini, che tutte le dis-regolazioni e le patologie hanno inizio.

La Medicina Psicosomatica.

L’ipotesi, quindi, di una correlazione tra mente e corpo, tra eventi psichici ed eventi fisici ha alimentato nel corso della storia prevalentemente la ricerca intorno allo stress e ai suoi meccanismi; questo concetto ha subito una graduale evoluzione, sulla, base comunque della formulazione originaria di Selye. Paolo Pancheri, nella sua opera “Stress, Emozioni, Malattia”, un classico della Medicina Psicosomatica, definisce lo stress come “la risposta dell’organismo ad ogni richiesta di modificazione effettuata su di essa. Questa risposta si manifesta sia a livello fisiologico che a livello comportamentale, ed è mediata da un’attivazione emozionale indotta da una valutazione cognitiva del significato dello stimolo. Essa è relativamente aspecifica, nel senso che un’ampia gamma di stimoli può innescarla, ma personalizzata in rapporto al significato dello stimolo per il singolo individuo, e alle sue modalità di reazione psicofisiologica. Lo stress è, di per sé, una reazione fisiologica, adattativa, caratteristica della vita, che può tuttavia assumere un significato patogenetico quando è prodotta in modo troppo intenso per lunghi periodi di tempo o quando è ostacolata nel suo regolare svolgimento.” (Pancheri, 1979)

Alla fine degli anni Settanta, quindi, proprio nel periodo in cui il dott. Hamer fu colpito dalla sua tragedia familiare, le acquisizioni inerenti il rapporto tra emozioni e malattia, patrimonio ormai decennale dei ricercatori, erano fondate sul concetto di stress e sulle sue conseguenze nell’organismo. Queste acquisizioni potevano essere così riassunte:

  1. Esistono dei meccanismi di attivazione dell’organismo, la cosiddetta Sindrome Generale di Adattamento, che vengono innescati da stimoli stressanti, cioè in grado di produrre tale mobilitazione organismica.
  2. Gli agenti stressanti possono essere sia di natura fisica o chimica così come di natura psicosociale, agendo, pertanto, direttamente o mediante l’intervento delle funzioni psichiche ed emozionali. Esiste, pertanto, una soggettività della risposta.
  3. Tale attivazione avviene attraverso la mediazione dei sistemi reattivi emozionali che agiscono sul sistema neuroendocrino ed immunitario. Gli agenti stressanti, quindi, vanno ad alterare le funzioni del sistema neurovegetativo, del sistema endocrino e del sistema immunitario.
  4. Esistono risposte specifiche e risposte aspecifiche che si sintonizzano con tre parametri fondamentali: lo stato psicofisiologico precedente l’evento, i fattori endogeni, come il patrimonio genetico e le caratteristiche di personalità, e i fattori esogeni legati all’apprendimento, all’alimentazione, all’uso di farmaci, ecc.
  5. Tutta questa catena di eventi biologici, la cosiddetta “risposta individuale di stress” può essere considerata un “precursore di malattia” Gli agenti stressanti influenzano, quindi, il “terreno biologico” sul quale si può inserire la malattia.

La spiegazione, poi,  della scelta dell’organo avveniva sulla base delle seguenti ipotesi:

  1. Predisposizione genetico-costituzionale o “debolezza d’organo”. Questa, in realtà, è la posizione della medicina organicistica, che nega l’influenza dei fattori emozionali nella genesi della malattia.
  2. Teorie psicodinamiche. Secondo questi modelli, che affondano le loro radici nella corrente psicoanalitica, gli stimoli esterni attiverebbero dei conflitti inconsci, secondo un meccanismo di “conversione simbolica” mediata dai meccanismi psichici di difesa.
  3. Teorie comportamentistiche. Secondo questi modelli la risposta dell’organo è appresa, secondo dei meccanismi di stimolo e rinforzo.
  4. Teorie psicosociali. Secondo questo modello la malattia è legata alle pressioni dell’ambiente ad opera degli stimolo stressanti. Stimoli ambientali specifici interagirebbero con i programmi di risposta biologici dell’individuo, determinati in parte geneticamente ed in parte in base alle esperienze infantili.
  5. Teoria della personalità. Secondo questo modello sarebbero elementi della personalità individuale a predisporre l’individuo a determinate malattie piuttosto che altre, come la personalità di tipo A, individuata quale fattore predisponente le malattie di tipo cardiologico.
  6. Modelli integrativi. Alcune teorie cercano di “integrare” le varie ipotesi in un modello onnicomprensivo, nel quale vengono presi in considerazione sia gli aspetti comportamentali delle emozioni che quelli biologici. Secondo tali modelli, la reazione dell’organismo si manifesta sia su base biologica che comportamentale.

Tali considerazioni rappresentavano lo scenario della ricerca della fine degli anni Settanta, ma non sono molto diverse da ciò che la ricerca ha elaborato in merito ai meccanismi psicosomatici nei decenni successivi, fino ai giorni nostri. Il concetto che colpisce maggiormente è quello della “predisposizione alla malattia” o “precursore di malattia” o “terreno biologico”: lo stress agirebbe in definitiva in tale direzione, favorendo, cioè, l’insorgenza delle malattie nel momento in cui gli stimoli stressanti altererebbero le condizioni biologiche dell’organismo.

In definitiva, si potrebbe riassumere che tutta la ricerca sullo stress, quindi, proseguita con lo sviluppo e le elaborazioni della medicina psicosomatica, invece di arrivare ad una spiegazione finalmente plusibile in merito all’origine della malattia e soprattutto che andasse oltre la tradizionale separazione tra malattie del corpo e della psiche, ha aggiunto un’ipotesi in più, rendendo ancora più confusa l’etiologia con i concetti di multicausalità o multifattorialità. Tutta la ricerca sullo stress, in definitiva, lascia sostanzialmente intatta la concezione millenaria che la malattia è “qualcosa”, un’”entità” – ovviamente sbagliata, temibile e da combattere – che può colpire l’organismo, senza che nessuno possa dire perché.

Afferma Pancheri, infatti: “alla luce di quanto è emerso dallo studio dello stress dalla prima formulazione di Selye fino ad oggi, appare chiaro come tale suddivisione (tra malattie somatiche e malattie psicosomatiche) sia priva di significato, e come stressors di varia natura (fisica, biologica o psicosociale) possano, direttamente o attraverso una mediazione emozionale, influenzare il terreno biologico sul quale si inserisce la malattia” (1979)

Il concetto immutato di malattia.

La “malattia”, quindi, è salva! Chiamata anche “entità nosografia”, la patologia non centra con lo stress: quest’ultimo è responsabile solamente di renderle la vita più facile. La presunta unificazione tra mente e corpo rimane viva solo nelle parole. Sempre il padre della medicina psicosomatica italiana afferma, infatti, ancora: “Alcune malattie possono ancora essere considerate come prodotte da un’unica causa (ad esempio la paraplegia da sezione del midollo spinale), ma in molte altre, definite spesso come idiopatiche o essenziali, l’eziologia è certamente pluricausale, senza possibilità di individuare una causa predominante. Anche dove, tuttavia, un agente patogeno appare strettamente connesso a una particolare malattia, è possibile quasi sempre individuare una serie di concause dotate di potere patogeno a livello del terreno biologico. Ogni malattia dove sia individuabile un agente patogeno principale, infatti, può essere vista come la risultante di due fattori: l’aggressività dell’agente patogeno da un lato e le condizioni dei sistemi biologici di difesa (il terreno) dall’altro” (Pancheri, 1979).

Negli ultimi trent’anni, la ricerca sullo stress ed, in particolare, la medicina psicosomatica hanno imboccato, purtroppo, un tunnel da cui non riescono più ad uscire ed hanno determinato l’esatto opposto di ciò che probabilmente era nelle loro intenzioni originarie: cercando, probabilmente di riunire l’organismo in una visione olistica, lo ha spezzettato ancora di più!

“La funzionalità e la ricettività di questi sistemi (neurovegetativo, endocrino e immunitario) sono a loro volta controllate da una serie di fattori reciprocamente ineìteragenti tra loro: la struttura genetico-costituzionale, l’imprinting psicobiologico, l’ambiente fisico e, infine, i determinanti emozionali e psicosociali.

I determinanti emozionali e psicosociali, e la reazione di stress da essi dipendente, sono dunque sempre delle concause nella genesi delle malattie a etiologia totalmente o parzialmente multicausale. Essi, a seconda del momento in cui agiscono, della loro intensità e durata e della loro interazione con altri determinanti, possono agire come elementi predisponesti o come fattori scatenanti. Il punto importante da sottolineare è che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è dimostrato un rapporto specifico tra tipo di attivazione emozionale e tipo di malattia somatica sviluppata anche quando il ruolo determinante dello stress emozionale è stato accertato.

Le differenze nel tipo di malattie sviluppate per cause emozionali dipendono dalla particolare vulnerabilità dei singoli organi a sua volta dipendente da fattori puramente fisico-biologici o genetico-costituzionali” (Pancheri, 1979).

Su questi presupposti e su queste conclusioni del filone di ricerca psicosomatico, alla fine degli anni Settanta, inizia la ricerca di Hamer …CONTINUA NEL PROSSIMO ARTICOLO.

 

BIBLIOGRAFIA

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LE 5 LEGGI BIOLOGICHE SCOPERTE DAL DOTT. HAMER: EVOLUZIONE VERSO IL NUOVO PARADIGMA (Seconda parte) 


mandala.jpgSecondo il medico tedesco Ryke Geerd Hamer, l’eziologia delle malattie va ricercata nella psiche. Dai suoi studi, egli giunse alla conclusione che l’inizio del processo di malattia fosse rappresentato da un evento shockante, che colpisce l’individuo in maniera inaspettata, da lui definito Sindrome di Dirk Hamer (DHS).


Il lavoro di Hamer s’inserisce all’interno dello storico filone di ricerca psicosomatico, ma le conclusioni a cui giunge completano così tanto il quadro da andare a ridefinire nella sostanza il concetto stesso di malattia. La reazione del mondo accademico non fu favorevole, ma le recenti acquisizioni della neurobiologia spiegano esattamente cosa succede a livello psichico, cerebrale ed organico durante la DHS e come mai la tutta ricerca sullo stress abbia fallito, mantenendo i ricercatori all’interno dell’antica convinzione della malattia come “errore della natura”.


Dott. Danilo Toneguzzi, psichiatra, psicoterapeuta; presidente Comitato Scientifico di ALBA (Associazione Leggi Biologiche Applicate)


…CONTINUA DALLA PRIMA PARTE (Che potete trovare nelle iconcine sulla colonna di  sinistra.)


È innegabile che la ricerca sullo stress, da Cannon a Mason, era partita bene, ma, successivamente, si è intrappolata all’interno dello stesso paradigma da cui ha tentato di staccarsi: Cartesio è, in effetti, più duro a morire di quel che non si pensi! Nel tentativo di decollare dal riduzionismo di fine Ottocento, in una direzione – quella olistica o sistemica – che già la fisica quantistica ed i modelli cibernetici della prima metà del Novecento lasciavo intravedere, la medicina psicosomatica è miseramente scivolata di nuovo nel meccanicismo riduzionistico dei secoli passati, condito solamente dai nuovi concetti quali: idiopatico, polietiologico, multifattoriale, multicausale, ecc. Invece che riunire, spezzetta ancora di più.


L’effetto più tragico del moderno riduzionismo lo si vede nel fiorire delle cosiddette équipe multidisciplinari, che sembrano tanto all’avanguardia ma che tanto più multiple sono, tanto più dividono il paziente: “i clinici si sentono molto tranquilli e progressisti quando includono uno psicologo nella loro equipe medica – meglio ancora se è uno “corporeo” – così si formano le équipe multidisciplinari, in cui multiplo è il numero di persone che vedono parti diverse dello stesso soggetto” (Shnake, 1995).


Sostiene ancora la Shnake: “La Medicina Psicosomatica è un grande schermo che copre uno dei fallimenti più drammatici della medicina. Si ampliano i servizi, si aggiunge personale “specializzato” nelle équipe oncologiche, si organizzano congressi ove si riconosce il fattore psicologico nel cancro o nell’asma, nelle gravidanze tubariche, nell’ulcera, negli incidenti automobilistici… La psichiatria e la psicologia hanno vinto la loro battaglia! Non c’è più un quadro clinico in cui non è riconosciuto il fattore psicologico. Finalmente la dimensione psichica forma parte dell’essere umano. (…) Eppure non sono riusciti a divincolarsi dall’attraente approccio medico, che insiste nel chiamarsi scientifico e che li ha obbligati a costruire un ibrido con cui sono consapevoli di non aumentare la saggezza del corpo né contribuire – come era il sogno di Freud – ad una maggiore libertà dell’uomo, a renderlo meno dipendente e schiavo dell’altro” (Shnake, 1995)


Ma se la Medicina Psicosomatica, che si pone come la disciplina che, per eccellenza, tenta di superare il dualismo mente-corpo, al di là delle presunte apparenze, è scivolata nuovamente nel riduzionismo meccanicistico dei secoli antichi, un’altra recente disciplina, la psico-oncologia, che presume anch’essa un’attitudine olistica nei confronti del paziente, è scivolata ancora più in basso. In uno dei testi più accreditati nella letteratura italiana, il “Manuale pratico di psico-oncologia”, si afferma nelle prime righe di presentazione che: “La Psico-oncologia costituisce in ambito sanitario un riferimento per tutti coloro – oncologi, psicologi, psichiatri, psicoterapeuti – che nel trattamento della malattia neoplastica hanno una visione olistica del malato, tesa a tutelare e favorire una migliore qualità di vita del paziente considerandolo nella sua complessità, vista la inscindibilità negli esseri umani della componente biologica da quella emozionale” (Grassi, Biondi, Costantini, 2003, pag. IX). Peccato che nelle trecentoventi fitte pagine del testo non c’è una riga in cui si accenni alla possibilità, anche remota, che le emozioni abbiano una qualche determinante nella genesi del cancro! In tutto il manuale pratico di psico-oncologia, le emozioni sono considerate solo in quanto “vissuto di malattia”, cioè la reazione emotiva del paziente alla malattia tumorale! Viene proprio da chiedersi cosa si intenda con il termine “olistico” o con “l’inscindibilità negli esseri umani della componente biologica da quella emozionale”…


Certamente la cura dell’aspetto emotivo dell’ammalato, delle sue reazioni e delle strategie di coping attuale è nobile nonché fondamentale; ma cosa c’è di così nuovo e scientificamente all’avanguardia in questa che, da sempre, è l’attitudine dei sacerdoti e dei religiosi con gli ammalati? Già Gesù Cristo, ben duemila anni fa invitava a prendersi cura amorevolmente delle persone che soffrono!


Se per la Medicina Psicosomatica l’emozione altera i fattori che predispongono e favoriscono l’impianto della malattia, con la Psico-oncologia arriviamo addirittura a considerare l’emozione solamente in termini di reazione e adattamento alla malattia: non soltanto si ritorna nel riduzionismo meccanicistico, ma non si considera neanche lontanamente l’idea che le emozioni possano avere una qualche valenza in termini etiologici. Implicitamente siamo tornati alla completa negazione che il vissuto e le emozioni, relegate alla “predisposizione” o alla “conseguenza”, abbiamo un ruolo significativo nella genesi delle malattie.


Il cambio di paradigma.


Nel 1981, il dott. Hamer sostiene, invece: “Ogni Programma SBS è causato da una DHS”. Questa affermazione trova, quindi, degli antecedenti nella ricerca scientifica del tempo ma, al tempo stesso, rappresenta, questa volta, un reale cambio di paradigma.


Con la sua intuizione avrebbe potuto infilarsi nella corrente di ricerca alquanto fertile e popolata del suo tempo (siamo, infatti, agli inizi degli anni Ottanta) ma, per fortuna, la sua intuizione si appoggiava chiaramente al di fuori del paradigma meccanicistico fin da subito.


Nella Legge ferrea del cancro, Hamer evidenzia tre criteri fondamentali:




  1. Ogni programma speciale, biologico e sensato (SBS) inizia con una DHS (Sindrome di Dirk Hamer), cioè con uno shock conflittuale gravissimo, inaspettato, altamente drammatico vissuto con un senso d’isolamento, contemporaneamente su tre livelli: nella psiche, nel cervello e nell’organo.




  2. Nell’istante della DHS, il contenuto del conflitto biologico, ovvero la maniera in cui la persona percepisce un determinato evento, determina sia la localizzazione del SBS nel cervello con il cosiddetto Focolaio di Hamer, sia la localizzazione nell’organo come cancro o malattia oncoequivalente.




  3. Il decorso del programma SBS è sincrono su tutti i livelli (psiche – cervello – organo) dalla DHS fino alla soluzione del conflitto, compresa la crisi epilettoide nel punto culminante della fase di riparazione e il ritorno alla normalità.




I tre criteri della Legge ferrea portano in sé la risposta ai “buchi neri” su cui la ricerca sullo stress la Medicina Psicomatica si sono insabbiati, soprattutto al dibattito tra gli elementi aspecifici e specifici della risposta organismica e alla scelta dell’organo.


Gli elementi di svolta che si differenziano dalla ricerca sullo stress sono:




  • La reazione dell’organismo, scatenata dalla DHS, avviene per un interessamento diretto del cervello in aree diverse e specifiche.




  • La reazione dell’organismo, scatenata dalla DHS, avviene da parte di organi specifici, in relazione al tipo emozioni.




La scoperta eccezionale alla Tac.


Hamer ha potuto evidenziare tali assunti grazie al tipo di ricerca da lui condotta, partita sostanzialmente dal dramma familiare “shockante” che lo ha colpito in prima persona e non secondo un modello prestabilito dalla letteratura del tempo, nonché dall’osservazione diretta, attraverso lo studio della TAC cerebrale, di “qualcosa” – che chiamò focolai di Hamer – che succedeva nel cervello, sempre nello stesso punto, a seconda della medesima malattia.


La sua ricerca empirica lo portò a mettere l’attenzione sullo shock della DHS, anche se la letteratura del tempo, nonostante avesse da decenni gli occhi sui meccanismi di reazione allo stress, fosse alquanto confusa proprio in merito a ciò. C’è da dire, in ogni caso, che negli anni successivi determinate prospettive di ricerca nell’ambito delle neuroscienze hanno fatto molta luce sui meccanismi delle reazioni emotive ed, in effetti, ora ne sappiamo molto di più su cosa avviene in quel momento in cui Hamer ha posto l’inizio di quella catena di eventi che normalmente è chiamata “malattia”: oltre alle verifiche empiriche condotte da Hamer, abbiamo, ora, la conferma anche dalle più recenti acquisizioni delle neuroscienze.


La chiave di volta sta esattamente nella comprensione dei meccanismi neurobiologici delle emozioni.


Dalla storia dell’orso alla scoperta del Cervello Emotivo.


Mason, con l’idea che il “mediatore unico” ipotizzato da Selye fosse rappresentato dalle emozioni, è stato il ricercatore che più si è avvicinato alla scoperta delle leggi biologiche di Hamer. Purtroppo, alla fine degli anni Settanta, la ricerca sulle emozioni era ancora troppo confusa e contraddittoria per poter sostenere una tesi di tale portata e, in ogni caso, condizionata dal vecchio paradigma riduzionistico e dualista.


La emozioni hanno rappresentato un oggetto di interesse per scienziati e pensatori di tutti i tempi. Dai tempi antichi in cui si disquisiva su temperamenti, passioni e umori, filosofi, lettereati e uomini di scienza hanno tentato di spigare e collocare all’interno dell’esistenza umana il senso e la funzione della dimensione emozionale.


Gli scienziati hanno cercato di scoprire, oltre al capirne il funzionamento, dove fosse la sede delle emozioni, ma i problemi erano rappresentati dal fatto che il contenuto cosciente dell’emozione – il sentimento, come è definito in neurobiologia – mal si presta all’indagine scientifica. Per questo, l’emozione è rimasta campo d’indagine da parte delle discipline fondate sull’introspezione, come la psicoanalisi, ma che non permette una comprensione biologica del funzionamento, oppure si è limitata allo studio delle reazioni comportamentali fisiologiche, come, ad esempio hanno fatti i comportamentisti, giudicando la coscienza un tema inadatto all’indagine scientifica, oppure è stata deliberatamente esclusa dall’indagine, come ha fatto la corrente di pensiero denominata congitivismo, centrata maggiormente sui processi inconsci di elaborazione dell’informazione, piuttosto che sui contenuti di tale elaborazione. La comprensione dei meccanismi emotivi, quindi, è stato sicuramente il campo più difficoltoso per le scienze della mente nell’ultimo secolo.


William James, considerato il padre della psicologia americana, scrisse nel 1884 un articolo apparso sulla rivista “Mind” dal tipolo “What is an emotion?” (Cos’è l’emozione?) che fece storia e diede inizio, di fatto, all’indagine sulla natura delle funzioni emotive. La riflessione di James partiva dalla seguente domanda: “Perché di fronte ad un orso proviamo paura?” A quel tempo, così come, per certi versi attualmente, il senso comune sosteneva che, di fronte un orso proviamo l’emozione della paura perché è pericoloso e, in conseguenza a ciò, scappiamo. Ebbene, W. James propose una prospettiva diversa: egli sosteneva che, di fronte all’orso, l’organismo reagisce con una risposta essenzialmente fisica che, nel momento in cui viene percepita a livello cosciente, genera successivamente l’emozione della paura. L’emozione, secondo James, sarebbe, pertanto, l’effetto sulla coscienza della retroazione da parte dell’organismo: in altri termini, non scappiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché siamo spinti alla fuga (James, 1884).


La prospettiva di W. James gettò le basi per una indagine sulle emozioni che tenesse conto della dimensione fisico-corporea, quale elemento sostanziale di mediazione in quel fenomeno che chiamiamo emozione. In effetti, i contenuti coscienti dell’emozione sono sostanzialmente delle percezioni di stati fisici: il cuore che accelera, la pelle che suda, una pressione al petto, una contrazione delle viscere, ecc. Appare sensato, quindi, considerare il coinvolgimento del corpo nel processo emozionale. Ma in che termini?


Gli studi successivi portarono a considerare che le risposte fisiche fanno sì parte integrante delle emozioni ma, visto il tempo in cui esse avvengono, sostanzialmente più lungo rispetto alla percezione cosciente, condussero W. Cannon, che abbiamo già incontrato a proposito delle ricerche sulla reazione d’allarme e P. Bard formulare nel 1929 una teoria secondo la quale le emozioni coscienti, ovvero i sentimenti, e le reazioni del corpo avvengono attraverso meccanismi indipendenti e separati: lo stimolo emotivo (che arriva all’organismo attraverso i canali sensoriali che confluiscono nel talamo) produce i sentimenti per azione diretta sulla corteccia cerebrale, mentre, attraverso circuiti paralleli, a mediazione ipotalamica, viene generata una risposta fisica (Cannon, 1929; Bard, 1929).


Il dibattito proseguì tra queste due posizioni fino agli anni Cinquanta, quando venne formulata una delle teorie che ebbero più seguito nella ricerca sulle emozioni. Nel 1949, infatti, il ricercatore Paul McLean ipotizzò la teoria del “cervello viscerale”, come lo chiamò inizialmente, o “sistema libico”, come lo ribattezzò nel 1952, come la sede del “cervello emotivo”, ovvero la sede delle strutture responsabili delle emozioni (McLean, 1949, 1952).


McLean riprese la teoria formulata poco prima della seconda guerra mondiale da James Papez, un anatomista che descrisse un circuito particolare quale responsabile dell’esperienza emotiva. Da considerazioni analoghe a quelle di Cannon e Bard, Papez pensava che gli stimoli sensoriali, afferenti attraverso le vie talamiche andassero direttamente alla corteccia cerebrale e all’ipotalamo. Le esperienze emotive, però, sarebbero state generate anche dal coinvolgimento del talamo anteriore, dall’ippocampo e dalla corteccia cingolata, una parte della corteccia mediale degli emisferi – chiamata anche rinencefalo – filogeneticamente più antica. Proprio alla corteccia cingolata Papez assegnava la funzione d’integrazione tra gli stimoli provenienti dalla corteccia cerebrale laterale – filogeneticamente più recente – e dall’ipotalamo (Papez J.W., 1937).


Ebbene, Paul McLean riprese il circuito di Papez e tentò una teoria generale del cervello emotivo, influenzato non solo dalla neuroanatomia, ma che dalla psicologia dell’inconscio freudiana. Il punto di partenza, a quell’epoca, era che nella genesi delle emozioni erano determinati l’ipotalamo, da un lato e la corteccia cerebrale laterale, o neocorteccia, dall’altro; si sapeva, però che tali strutture avevano poche vie di connessione tra loro.


Condiderando, quindi, che l’esperienza cosciente delle emozioni fosse probabilmente dettata dall’attività della neocorteccia – universalmente considerata sede dell’attività sensomotoria – ma che questa non fosse in grado di influenzare l’ipotalamo e, quindi, le attività viscerali, e considerando, invece, che fossero le regioni filogeneticamente più antiche del rinencefalo a poterle influenzare, McLean identificò il “cervello viscerale” proprio nelle zone rinencefaliche. Mentre la neocorteccia “è signora della muscolatura e favorisce le funzioni dell’intelletto”, il cervello viscerale “ordina il comportamento affettivo dell’animale in certi impulsi elementari come procurarsi e assimilare il cibo, fuggire davanti al nemico o liberarsene oralmente, riprodursi e così via” (McLean, 1949).


La teoria del cervello viscerale nasceva anche dalle considerazioni evoluzionistiche del sistema nervoso: McLean pensava che negli animali primitivi fosse proprio il cervello viscerale a garantire la sopravvivenza e l’adattamento funzionale alle circostanze di vita; nei mammiferi, lo sviluppo successivo della neocorteccia avrebbe permesso quelle funzioni superiori che vedono nell’uomo il loro massimo raggiungimento. Da questo punto di vista, quindi, McLean identificava nei sentimenti una funzione d’integrazione tra gli stimoli provenienti dall’esterno e quelli provenienti dall’interno. Tale integrazione era funzione, appunto, del cervello viscerale; in esso, l’ippocampo svolgeva una funzione fondamentale; secondo McLean era una sorta di “tastiera emotiva” in grado di generare le vaire tonalità dei sentimenti che proviamo.


In una formulazione successiva, McLean denominò “sistema limbico” le parti del cervello che avrebbero costituito il sistema responsabile delle emozioni: rispetto al circuito di Papez, vi aggiunse l’amigdala, il setto e la corteccia prefrontale. Il sistema limbico di McLean era un vero e proprio sistema evoluto per mediare le funzioni viscerali ed i comportamenti emotivi ed istintivi come procurarsi il cibo, procreare, difendere il territorio, ecc (McLean, 1952). Infine, l’aspetto evolutivo fu specificato ancora meglio nella “tripartizione” del cervello: secondo McLean, nell’evoluzione delle specie animali, il cervello si sarebbe evoluto dalle funzioni arcaiche del tronco encefalico, tipico dei rettili, a quelle dei paleo-mammiferi e, solo alla fine, nelle funzioni superiori dei neo-mammiferi. Nella teoria del cervello trino, il sistema libico corrisponde sostanzialmente al cervello dei paleo-mammiferi (McLean, 1970).


La teoria del sistema limbico, come sede delle emozioni, sembrò così convincente che tutt’ora è considerato il modello tra i più utilizzati per spiegare il funzionamento emotivo. Per decenni, infatti, sembrava potesse dare tutte le risposte in merito al funzionamento delle emozioni, se non altro, nella loro topografia neuroanatomica; inoltre, la concezione evolutiva rendeva plausibile il senso delle emozioni al processo di adattamento e sopravvivenza. Si pensava, grazie, quindi, alla teoria del sistema libico, che “il cervello emotivo” avesse una localizzazione unica.


Ora sappiamo, però, che non è così.


In ogni caso, sull’onda della tripartizione del cervello (cervello “rettile”, del “paleo-mammifero” e “neo-mammifero”) sembrava plausibile che le emozioni fossero generate dal cervello del paleo-mammifero e che le funzioni della corteccia avessero una funzione di regolazione su di esso; su questa linea proseguì la ricerca e la speculazione sulle emozioni che condussero Stanley Schachter e Jerome Singer a formulare l’ipotesi, di stampo congitivista, nel 1962, secondo la quale sarebbero le attribuzioni e le spiegazioni cognitive che vengono operate dalla corteccia sugli stati fisici che vengono percepiti a determinare quelli che diventano stati emotivi. In altri termini, gli individui percepiscono sensazioni corporee che, a seconda di come vengono etichettate, generano un’emozione piuttosto che un’altra (Schachter, Singer, 1962).


Altri ricercatori cognitivisti, come Magda Arnold e Richard Lazarus, che abbiamo già nominato a proposito delle ricerche sullo stress, insistevano sulla valutazione come elemento determinante ai fini dell’esperienza emotiva: emozioni diverse si distinguerebbero l’una dall’altra perché valutazioni diverse susciterebbero tendenze diverse all’azione che darebbero, quindi, luogo a sentimenti diversi (Lazarus, 1966). La teoria della valutazione, di stampo cognitivista, dominò la scena della ricerca sulle emozioni per decenni, per lo meno fino agli anni Ottanta, anche se si sono fondate su due elementi che, alla lunga, come vedremo, hanno portato fuori pista. Il primo errore è stato quello di analizzare le valutazioni dalla verbalizzazione dei soggetti, quando l’introspezione non dà una visone affidabile dei funzionamenti mentali; in secondo luogo, la teoria cognitivista della valutazione ha dato troppo peso ai processi della cognizione, negando la differenza tra emozione e cognizione.


In effetti, alcune ricerche effettuate negli anni Settanta, hanno dimostrato l’infondatezza dell’intero impianto del sistema limbico come sede del cervello emotivo, nonché l’assoluta necessità di ridefinire il concetto di valutazione. Il neuroanatomista Antony Brodal, ad esempio, ha dimostrato l’impossibilità di accomunare, sulla base dell’evoluzione, strutture quali il lobo limbico, il rinencefalo ed il cervello viscerale (Brodal, 1982); inoltre, tutto il concetto di sistema limbico era fondato sulla connessione delle strutture che lo compongono con l’ipotalamo: L.W. Swanson, però, ha dimostrato, attraverso metodiche più sofisticate, che l’ipotalamo è collegato con tutti i livelli del sistema nervoso e, da questo punto di vista, quindi, tutto il cervello sarebbe da definirsi “sistema limbico” (Swanson, 1983). Oltre a ciò, si è visto che l’ippocampo, una struttura fondamentale, secondo McLean, per le “tonalità emotive” è implicato non tanto nelle funzioni autonome ed emotive, quanto in quelle cognitive. Infatti, le lesioni dell’ippocampo, e di alcune zone del circuito di Papez, come i corpi mammillari e il talamo anteriore, hanno pochi effetti coerenti sulle funzioni emotive, mentre producono disordini gravi della memoria cosciente o dichiarativa, cioè sulla capacità di sapere cosa si è fatto pochi attimi prima, di immagazzinare l’informazione, di richiamarla e di descrivere verbalmente quanto ricordato. Vale a dire su quei processi che, secondo McLean, non spettavano né al cervello viscerale né al sistema limbico. L’assenza relativa di implicazione nell’emozione e la chiara implicazione nella cognizione contraddicono quindi l’idea che il sistema limbico, comunque lo si definisca, sia il cervello emotivo (LeDoux, 1991)


Un contributo fondamentale nella comprensione dei meccanismi emotivi arrivò nel 1980 grazie a Robert Zajonc, il quale affermò, nel suo storico lavoro del 1980 “Feeling and Thinking: Preferences Need No inferences” che l’emozione precede la cognizione (Zajonc, 1980). Il suo concetto di “affezione inconscia”, inteso come elaborazione emotiva prodotta al di fuori della consapevolezza, dimostrò che le reazioni emotive possono aver luogo in assenza di consapevolezza degli stimoli, gettando le basi per l’idea che l’emozione non è solo cognizione. Le ricerche di Zajonc si basavano sulle stimolazioni subliminali: altri ricercatori seguirono tale filone confermando le acquisizioni dell’elaborazione inconscia. Divenne sempre più chiaro, quindi, che l’emozione avviene per processi inconsci e non c’entra con la cognizione (Bornstein, 1992; Bargh, 1992).


Da tutte le ricerche successive si può affermare, quindi che McLean abbia sbagliato a includere in un unico sistema l’intero cervello emotivo e la sua storia evolutiva. “Credo che la sua logica dell’evoluzione emotiva fosse perfetta ma troppo estesa. Le emozioni sono sicuramente delle funzioni coinvolte nella sopravvivenza, ma siccome emozioni diverse riguardano funzioni di sopravvivenza diverse – difesa contro il pericolo, trovare del cibo, accoppiarsi, occuparsi della progenie, e così via – ognuna potrebbe appartenere a sistemi cerebrali diversi, evolutisi per ragioni diverse. E dunque i sistemi emotivi potrebbero essere non uno ma tanti” (LeDoux, 1996)


Sempre secondo LeDoux, “l’ipotesi di lavoro più praticabile è che diverse classi di comportamento emotivo rappresentino funzioni diverse che si occupano di diversi problemi dell’animale, e ai quali sono dedicati sistemi cerebrali diversi. Se è così, emozioni distinte vanno studiate in quanto unità funzionali distinte” (LeDoux, 1996)


…CONTINUA


BIBLIOGRAFIA


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Secondo il medico tedesco Ryke Geerd Hamer, la Sindrome di Dirk Hamer (DHS), un evento shockante che colpisce l’individuo in maniera inaspettata, rappresenta l’inizio del processo di malattia. Le recenti acquisizioni della neurobiologia spiegano esattamente cosa succede a livello psichico, cerebrale ed organico durante la DHS e come mai la tutta ricerca sullo stress abbia fallito, mantenendo i ricercatori all’interno dell’antica convinzione della malattia come “errore della natura”.


Dott. Danilo Toneguzzi, psichiatra, psicoterapeuta; presidente Comitato Scientifico di ALBA (Associazione Leggi Biologiche Applicate)


Dalla storia dell’orso di William James, quindi, arriviamo alle conoscenze attuali della neurobiologia in merito al cervello emotivo.


Queste possono essere così riassunte:




  • Le emozioni sono una risposta complessa dell’organismo ad uno stimolo sensoriale che proviene dall’esterno o dall’interno. Esse sono prodotte automaticamente dal cervello, sulla base della percezione di uno stimolo “emozionalmente adeguato”. “Tutta la catena d’eventi è innescata dalla presentazione di un oggetto adatto, lo stimolo emozionalmente adeguato. L’elaborazione di quello stimolo, nel contesto specifico in cui si manifesta, conduce alla selezione e all’esecuzione di un programma preesistente: l’esperienza emozionale” (Damasio, 2003). Il cervello, cioè, è predisposto dall’evoluzione a rispondere a determinati stimoli, con specifici repertori d’azione, anche se può rispondere a molti altri stimoli che, per apprendimento nel corso delle esperienze di vita sono divenuti emotivamente significativi (Damasio, 1994). In altri termini esistono determinati stimoli che appartengono alle codifiche nella specie tramandate geneticamente; al tempo stesso, durante la vita, determinate esperienze possono imprimere nella memoria l’acquisizione che un determinato stimolo è significativo in termini di sopravvivenza per l’individuo: è il caso,ad esempio, delle esperienze traumatiche, in grado di sensibilizzare l’organismo ad una risposta secondo il meccanismo descritto da Pavlov del condizionamento operante.




  • L’attivazione emotiva avviene mediante un meccanismo del tipo “chiave-serratura”: uno stimolo emotivamente significativo funge da chiave nel dispiegamento della risposta emotiva – che funge, pertanto da serratura. In altri termini, non tutti gli stimoli attivano una risposta, ma soltanto quelli per i quali esiste una “serratura”. Questo meccanismo spiega il funzionamento degli istinti: ad esempio un individuo che risponde a determinate caratteristiche del “partner sessuale” sarà in grado di generare una risposta d’eccitazione, chiamata istinto all’accoppiamento. Al tempo stesso questo meccanismo spiega le basi neurobiologiche del costruttivismo, una corrente di pensiero che riconosce quanto la conoscenza non è un processo assoluto ma è “creata” dall’osservatore: non conosciamo il mondo per quello che è ma, sulla base delle nostre categorie, isoliamo la nostra esperienza del mondo (Maturana e Varela, 1987)




  • Il risultato delle risposte emotive è una modificazione dello stato del corpo che viene registrato a livello cerebrale in mappe di quello specifico stato corporeo. L’emozione, cioè, è la mappa del corpo in un determinato stato, una sorta di fotografia delle condizioni “viscerali” dell’organismo in un determinato momento. Ad esempio, quello che noi chiamiamo “tranquillità” corrisponde ad una percezione del nostro corpo in un determinato stato, appartenente, generalmente, alla categoria delle sensazioni gradevoli, mentre ciò che chiamiamo paura, invece, corrisponde ad uno stato corporeo ben differente che, generalmente appartiene alla categoria delle sensazioni spiacevoli, che, quindi, ci spingono ad intervenire per modificare la situazione che lo determina. Antonio Damasio ha, a questo riguardo, ipotizzato la teoria del cosiddetto “marcatore somatico”, una sorta di immagine o rappresentazione sensoriale che viene integrata nella memoria implicita quando uno stimolo è o diventa emotivamente significativo. Quando lo stimolo compare, non serve, come sosteneva William James che si attivino delle risposte di retroazione da parte del corpo, rivelatesi troppo lente per generare un sentimento: è sufficiente che lo stimolo attivi l’immagine dello stato corporeo – il marcatore somatico – per avere la percezione cosciente di una emozione (Damasio, 1994).




  • Inoltre, sappiamo con certezza che il cervello emotivo opera sostanzialmente a livello inconscio e produce risposte dirette sul corpo, di tipo viscerale, mediate dal sistema nervoso autonomo. La modificazione dello stato del corpo che viene registrata nella risposta emotiva è determinata da un’azione diretta sugli organi e tessuti, attraverso la loro innervazione autonoma. Un aumento improvviso del tono simpatico produce ad esempio…




  • Tutte le risposte emotive hanno la funzione di regolazione e adattamento dei processi vitali e di attivazione di una risposta adeguata alla richiesta ambientale ai fini di promuovere la sopravvivenza. Gli organismi viventi, in altri termini, sono costituiti in modo da mantenere la coerenza delle proprie strutture e delle proprie funzioni, a dispetto delle numerose circostanze che possono metterne a rischio la vita. Le risposte emotive appartengono a quei dispositivi contenuti nei circuiti cerebrali che, una volta attivati dal verificarsi di particolari condizioni interne o esterne, puntano alla sopravvivenza e al benessere dell’organismo.




  • Le risposte emotive non sono determinate da un unico sistema emotivo: si attivano sistemi differenti da stimoli emotivi diversi (LeDoux, 1996). Così come esiste un sistema della paura, così esiste un sistema per procacciarsi il cibo o per l’accudimento dei cuccioli. Ogni emozione, cioè, attiva un determinato sistema! Hamer ha dedotto questo aspetto notando direttamente sulla TAC l’interessamento di aree specifiche e sempre precise a seconda del contenuto emotivo vissuto dall’individuo.




  • Così come a livello cerebrale si attivano aree diverse, anche il sistema nervoso autonomo, che controlla le viscere, reagisce selettivamente e attiva organi diversi. In uno studio del 1992, Levenson ha mostrato come si possano addirittura distinguere le varie emozioni (rabbia, paura, disgusto, tristezza, felicità, sorpresa) proprio misurando le diverse risposte del sistema nervoso autonomo, come la temperatura della pelle, la frequenza cardiaca, ecc. (Levenson, 1992). A stimoli diversi, quindi, corrispondono attivazioni cerebrali diverse, che corrispondono ad emozioni diverse, che corrispondono ad attivazioni viscerali diverse: sembra qualcosa che ricorda proprio la legge ferrea del cancro! Nello specifico, inoltre, si attivano i sistemi che sono deputati ad una determinata funzione. Un determinato sistema viene attivato quando è implicata la funzione per cui quel sistema è deputato, ad esempio il sistema della paura per la difesa, il sistema dell’accudimento per la cura della prole, il sistema sessuale per l’accoppiamento, e così via. Le emozioni, quindi, rappresentano la parte di un meccanismo complesso, che si è evoluto intelligentemente nel corso del tempo; esse sono funzionali alla sopravvivenza in quanto producono risposte precise e sensate sulla base del tipo di stimolo, generando delle spinte all’azione per favorire l’adattamento.




  • Quando tali reazioni arrivano alla coscienza abbiamo quell’esperienza consapevole denominata emozione cosciente o sentimento. Le emozioni hanno lo scopo di fornire risposte adattative immediate; appartengono a dispositivi antichi nella storia dell’evoluzione, ben precedenti lo sviluppo della capacità di “provare” sentimenti, per i quali, oltre alla funzione della coscienza è necessario anche la costituzione della coscienza di un sé. I sentimenti, dal punto di vista evolutivo, avrebbero quindi, una funzione “superiore” alle emozioni e, nello specifico la possibilità di una valutazione migliore e ponderata in merito a decisioni complesse (Damasio, 2003). I sentimenti, quindi sono un sistema per elaborare risposte più precise ma che necessitano di un tempo relativamente lungo.




  • I sentimenti rappresentano, quindi, una dotazione dell’evoluzione finalizzata alla possibilità di risolvere problemi complessi o prendere decisioni che richiedono tutta una serie di valutazioni a lungo termine e comparative; l’organismo rimane, tuttavia, dotato dei meccanismi filogeneticamente più antichi e più rapidi, anche se meno precisi. LeDoux parla delle cosiddette “vie alte” e “vie basse” di elaborazione. La via bassa di elaborazione, che nel caso della paura, ad esempio, coinvolge l’amigdala, è in grado di attivare delle risposte automatiche di tipo viscerale, senza la mediazione dell’elaborazione cosciente. La “via bassa” corrisponde alla storica reazione d’allarme, già studiata da Cannon. Per fare un esempio della differenza tra una risposta “alta” ed una “bassa”, basti pensare, ad esempio a cosa succede quando immergiamo la mano in un recipiente con dell’acqua che si sta riscaldando. Sentendo il calore che sale, arriveremo ad un determinato momento in cui ci accorgeremo che la temperatura è troppo calda e dovremo ritirare la mano (reazione mediata dall’esperienza cosciente); ma nel caso in cui mettessimo la mano in un recipiente d’acqua bollente, senza saperlo, avremmo una risposta di retrazione immediata della mano, automatica, ancor prima di essercene accorti (via bassa di elaborazione). Gli eventi emotivamente significativi che giungono inaspettati vengono, quindi, processati da vie nervose dirette ed immediate, in grado di attivare delle risposte viscerali, ancor prima che la nostra coscienza possa tranquillamente rendersene conto. In questi casi, non abbiamo il lusso di poter decidere mediante una valutazione emotivamente cosciente, ma la decisione viene presa dal programma emotivo che, nello specifico, lo stimolo ha attivato.




La malattia non è “qualcosa”


Con le recenti acquisizioni delle neuroscienze, abbiamo tutti gli elementi per comprendere cosa succede in quel momento in cui scatta la DHS (Sindrome di Dirk Hamer), che Hamer ha identificato come l’origine di tutte le malattie. Diventano, ora, facilmente comprensibili gli enunciati esposti nella Legge ferrea del cancro:


Ogni programma speciale, biologico e sensato (SBS) inizia con una DHS (Sindrome di Dirk Hamer), cioè con uno shock conflittuale gravissimo, inaspettato, altamente drammatico vissuto con un senso d’isolamento, contemporaneamente su tre livelli: nella psiche, nel cervello e nell’organo. Una chiave speciale, apre una serratura speciale! Uno stimolo emotivamente adeguato attiva una via diretta di risposta, senza la mediazione della coscienza. L’intelligenza evolutiva dell’organismo viene in aiuto quando le circostanze colgono impreparato l’individuo (o l’animale, visto che, da questo punto di vista, i meccanismi di salute e malattia sono identici). Hamer sottolinea con enfasi il concetto di “inaspettato”: la DHS, con l’attivazione conseguente delle catecolamine, diventa, così, la prima risposta automatica, preconfezionata dalla natura per predisporre l’organismo ad una risposta efficace.


Nell’istante della DHS, il contenuto del conflitto biologico, ovvero la maniera in cui la persona percepisce un determinato evento, determina sia la localizzazione del SBS nel cervello con il cosiddetto Focolaio di Hamer, sia la localizzazione nell’organo come cancro o malattia oncoequivalente. La reazione emotiva specifica di un determinato sistema emotivo che, oltre a produrre risposte viscerali specifiche, interessa localizzazioni cerebrali specifiche! Hamer giunge a questa conclusione dall’osservazione diretta dell’interessamento cerebrale mediante le immagini da tomografie computerizzate del cervello. Ora sappiamo anche dalla neurobiologia che non esiste un unico sistema emotivo, ma ogni emozione ha un suo particolare sistema, con interessamento di aree cerebrali specifiche. Inoltre sappiamo che ogni emozione è in grado di attivare risposte viscerali specifiche, coinvolgendo organi e tessuti specifici. La scelta dell’organo, quindi, non è casuale o determinata da ipotetici “difetti costituzionali”: vengono attivati proprio quegli organi la cui funzione è implicitamente coinvolta nel contenuto emotivo dello shock. Proprio come nel caso personale di Hamer dove, avendo subito una DHS dalla perdita del figlio, si è attivato un funzionamento “speciale” proprio nell’organo legato alla riproduzione maschile, cioè il testicolo.


Il decorso del programma SBS è sincrono su tutti i livelli (psiche – cervello – organo) dalla DHS fino alla soluzione del conflitto, compresa la crisi epilettoide nel punto culminante della fase di riparazione e il ritorno alla normalità. Vi è una compartecipazione di sistemi cerebrali e sistemi viscerali che seguono l’andamento dell’efficacia adattativa della risposta, di cui il livello dell’esperienza emotiva è testimone: fintantoché la risposta non è efficace, il vissuto rimarrà “conflittuale” e il programma attivo, con l’effetto di un funzionamento viscerale simpaticotonico, solo quando la risposta sarà efficace verrà percepita emotivamente come “conflittolisi” (“il problema è, finalmente, risolto!”) con l’evoluzione del programma nella direzione del recupero e della riparazione, con l’effetto di un funzionamento viscerale vagotonico, fino al ripristino della normalità.


Con la legge ferrea del cancro, crolla, quindi, l’idea millenaria che la malattia è un’entità: la malattia non è qualcosa, ma un programma di funzionamento speciale di organi e tessuti, tipico di una funzionalità modificata di tipo neurovegetativo; come lo definisce Hamer è un funzionamento speciale, finalizzato ad uno scopo biologico, in quei frangenti ove non abbiamo altra possibilità di risposta, in quello stato di inibizione dell’azione che già Laborit aveva individuato come pre-condizione di malattia. Il sistema nervoso autonomo o vegetativo, però, non altera il “terreno” su cui s’impianta un’entità denominata malattia, come sostiene da sempre la Medicina Psicosomatica, ma modifica direttamente il funzionamento degli organi, dal momento che direttamente sono regolati da esso.


La malattia non è, quindi, un “parassita” cattivo della natura ma corrisponde alla modificazione funzionale di quello stesso “terreno” così caro agli psicosomatisti, cioè degli organi e dei tessuti. La modificazione avviene con una sequenza precisa e sensata e assolve al compito biologico implicito nel contenuto emotivo-viscerale dello shock. Ad esempio: perdo un figlio, devo riprodurmi; oppure: ho inghiottito qualcosa di indigesto, devo digerire di più; oppure: qualcosa mi ha intossicato, devo evacuare e rigettare subito, e così via.


Un vero e proprio cambio di paradigma!


Oltre il dualismo mente-corpo, una visione olistica.


Le leggi biologiche del dott. Hamer ribaltano totalmente il vecchio paradigma della malattia, intesa come qualcosa di sbagliato, un difetto o un attacco che fosse; ma ribaltano totalmente anche il vecchio paradigma nel quale mente e corpo sono due entità separate.


La malattia è un processo di funzionamento speciale dell’organismo. La DHS è la chiave che apre questo processo denominato “programma SBS”. Un evento emotivamente significativo attiva una risposta automatica per facilitare l’adattamento.


Ma la chiave non esiste se non in relazione alla sua serratura e, come sostiene Damasio, “non c’è mente senza il corpo”. La DHS, quindi, non è un evento slegato dal programma SBS; la DHS è intrinsecamente legata, o, come direbbe Maturana, “strutturalmente accoppiata”, in quanto stimolo iniziale, al programma SBS. Proprio come un lato di una medaglia è strutturalmente accoppiato con l’altro. La mente, corrisponde, di fatto, all’evento fisico: l’evento psichico, infatti è un lato della medaglia dove l’altro lato è rappresentato dalla configurazione neuronale attivata di una mappa corporea in uno stato particolare.


“Non c’è mente senza il corpo”: questo visione che, finalmente, connette, anziché separare, è magnificamente condensata nel terzo assunto della legge ferrea di Hamer. Il programma SBS procede in maniera sincrona sui tre livelli psiche, cervello organo: tre facce della stessa medaglia.


Ma c’è di più! Il superamento del dualismo mente-corpo ci apre, anche, una visione filosoficamente nuova: ci porta ad una comprensione ancora profonda del paradigma olistico, che dagli inizi del secolo scorso, con le acquisizioni della fisica quantistica, della cibernetica e di altre discipline ha lentamente e gradualmente iniziato a far scricchiolare tutta l’impalcatura dualistica su cui si è fondato il pensiero occidentale, filosofico e scientifico, negli ultimi secoli. Sinonimi di “paradigma olistico” sono: “paradigma sistemico”, oppure “relazionale”, oppure “ecologico” (Capra, 1996). Non è sufficiente, quindi, aggiungere uno psicologo ad un’equìpe per avere un approccio olistico al paziente! È necessario entrare in un paradigma di pensiero completamente diverso, e questo vale per chiunque si avvicini al paziente: infermiere, medico o psicologo che sia.


Una visione olistica comporta necessariamente il superamento anche del dualismo spirito-materia.


Cosa caratterizza gli organismi viventi dagli oggetti? Qual è la differenza tra la sostanza “animata” e quella “inanimata”? Per Gregory Bateson, uno degli scienziati che maggiormente hanno segnato la storia del pensiero del secolo scorso, ciò che distingue i fenomeni puramente materiali dagli organismi viventi è che questi ultimi hanno la capacità di trattare le informazioni, mentre nel mondo materiale, non vivente, si reagisce alle forze, agli impatti e agli scambi di energia.


Ma, cos’è un’informazione? Bateson sostiene brillantemente che “un’informazione è la differenza che fa la differenza”, cioè è una differenza che è significativa (Bateson, 1979). Ma come fa un’informazione ad essere significativa? Solo, quindi, se la differenza viene percepita. L’informazione è, quindi, usando sempre i termini di Bateson, una “differenza captata”, una differenza che viene percepita da un organo sensoriale; dunque, l’informazione è una differenza che provoca una reazione nell’organismo, la più semplice delle quali è l’attivazione di un neurone. Per l’informazione, quindi, serve una differenza ed un recettore capace di recepirla: una chiave ed una serratura.


I sistemi sensoriali, quindi, non “portano” meccanicamente informazioni – perché le informazioni non sono “cose” – ma captano le differenze; i recettori permettono, così, che differenze, dall’esterno o dall’interno, diventino informazioni, ovviamente indipendentemente dal fatto che siano coscienti o inconsce.


La chiave è quindi un’informazione ed il recettore è la sua serratura. La differenza diventa informazione solo se esiste un recettore capace di captarla. Su questo si fonda, come sottolineavo precedentemente, la prospettiva costruttivista, secondo la quale la conoscenza dipende da colui che conosce, ovvero il conoscitore influenza il conosciuto. “La mente non conosce il mondo ma ne specifica uno” – sostiene Maturana. La conoscenza è una costruzione della mente.


Ma la differenza non è una “cosa”. È un rapporto. Come fa un’astrazione, come è la differenza, a interagire con la materia? È qui che si è impantanato Cartesio; infatti, non l’ha spiegata: ha semplicemente separato le “res cogitans” dalle “res extensa”.


La differenza non interagisce con la materia se non nel momento in cui si crea un accoppiamento strutturale, ovvero fintanto che non si determina una relazione tra le due; e quando parliamo di relazione, siamo, quindi, nel dominio “meta-fisico” del “”, ovvero non di ciò che è ma di ciò che accade tra. Nell’incontro si genera qualcosa, un processo vitale.


Cos’è, quindi, una DHS? Un’informazione, una chiave, una differenza che fa la differenza per la serratura specifica, cioè per un sistema emotivo specifico. Una non esiste senza l’altra se non all’interno di una relazione tra individuo e ambiente, relazione che rappresenta la sostanza stessa dell’esistenza.


Nel paradigma olistico lo spirito non esiste senza la materia dal momento che lo spirito è una “qualità emergente dell’organizzazione della materia”; non è nelle cose ma accade tra le cose e ci riporta, quindi, alla relazione tra gli elementi, piuttosto che all’essenza degli elementi.


La legge ferrea del cancro di Hamer ci spiega perché ci si ammala; tutto inizia in quel fenomeno denominato DHS. Ora sappiamo esattamente cosa succede in quel fenomeno, ma la comprensione della DHS ci porta di fronte a qualcosa che è molto di più che “l’etiologia di una malattia”. Ci mette di fronte ad una legge della natura ed, in quanto tale, ad una comprensione più profonda degli organismi viventi e del miracolo della vita. Per questo non esiste, né potrà mai esistere una terapia “preconfezionata” di Hamer: la Nuova Medicina Germanica non è un “metodo di cura” quanto una “prassi terapeutica” che scaturisce dalla consapevolezza di questo miracolo e del suo intrinseco divenire, specifico per ogni individuo, unico ed irripetibile, e che procede al di là dei giudizi di bene o male, o, come si usa in medicina, di “benigno” o “maligno”.


Ma la prassi terapeutica è un argomento sicuramente troppo importante per non diventare oggetto di approfondimento in un numero futuro di Psiche Cervello Organo.


BIBLIOGRAFIA


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