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VATICANO 2


SECONDA PARTE:

Buona parte delle prove documentali che stabilivano la partecipazione della gerarchia cattolica e di parte del clero più basso al tradimento e alla cospirazione venne dagli stessi cospiratori. La Commissione d’Indagine ha trovato migliaia di rapporti stampati, insieme ad articoli sia della stampa ufficiale ecclesiastica che nei giornali controllati dai cattolici, che offrono un’immagine impressionante del modo in cui questo crimine fu preparato.
I sostenitori dello Stato Indipendente di Croazia hanno commesso il grave errore di credere che sarebbero durati almeno quanto il Reich millenario di Hitler. Questa fiducia spiega perché non abbiano esitato a mettere tranquillamente nero su bianco i loro piani e i loro progetti.
Dopo la creazione dello stato-fantoccio si sentirono liberi di descrivere in giubilanti articoli come gli zelanti membri del clero avessero lavorato per Der Tag, come i monasteri fossero stati usati da nascondiglio clandestino per i movimenti illegali degli Ustasha, come avessero mantenuto costantemente il contatto con il cospiratori all’estero, come avessero organizzato i monaci e la gioventù cattolica come “crociati” per la futura sollevazione, e come abbiano messo in pericolo in molti modi diversi da stessa esistenza della Jugoslavia prima della guerra.
Le prove ritrovate dalla commissione di indagine danno una chiara immagine della struttura organizzativa della cospirazione. Il piano completo fu diretto da membri responsabili della gerarchia cattolica. L’esecuzione pratica del progetto veniva affidata ad Azione Cattolica e alle sue varie organizzazioni affiliate, come la “Grande Fratellanza dei Crociati”, la “Società Accademica di Domagoj”, l’“Associazione degli Studenti Cattolici di Mahinic”, la “Grande Sorellanza delle Crociate”, e molte altre. Il presidente e i direttori di queste organizzazioni venivano nominati direttamente dall’arcivescovo Stepinac, e erano in molti casi  erano preti ben conosciuti o appartenenti segreti ai gruppi ustasha.
Tutte queste forze furono mobilitate in una azione concertata, con lo scopo dichiarato di diffondere l’ideologia fascista. Questa propaganda convinceva i fedeli che sarebbe stata una buona azione, nel più alto interesse della Croazia e della chiesa cattolica, di uccidere o convertire i serbi e di sterminare gli ebrei. Quanto spudoratamente questa propaganda venisse pubblicata dalla stampa cattolica verrà mostrato in seguito.
Che Azione Cattolica fosse la forza organizzatrice della sollevazione Ustasha è stato confermato in un discorso di Ante Pavelic poche settimane dopo aver preso il potere in Croazia:  sull’organo di stampa Hrvatski Naro del 24 giugno 1941 compariva un discorso di Ante Pavelic diretto ai delegati di Azione Cattolica: "Nella nostra battaglia politica è certo che Azione Cattolica abbia avuto un ruolo importante". Anche il direttore del settimanale cattolico Katolicki Tjednik lodò nel numero del 27 aprile 41 i risultati ottenuti da Azione Cattolica, della quale era stato un influente leader nell’organizzare la Gioventù dei Crociati.
L’associazione "Grande Fratellanza dei Crociati" era composta da 540 società con circa 30 mila membri, mentre la "Grande Sorellanza dei Crociati" aveva circa 452 società con 18,935 membri. Sotto la copertura di un presunto lavoro religioso, queste organizzazioni svolsero l’importante ruolo di inculcare lo spirito del fascismo e dell’odio razziale e religioso nella gioventù. I membri venivano indottrinati con l’ideologia Ustasha di naziolanismo sciovinistico.
I crociati avevano i loro campi di addestramento militare. Il settimanale crociato Nedelja dell’11 luglio 43 pubblicò un articolo che parlava dei corsi di addestramento militare dei crociati nei loro campi,  dove addestravano ufficiali per le future formazioni Ustasha.
Il periodico Krizar (Il Crociato) nel febbraio 1942 descrisse come le organizzazioni dei crociati avessero servito da rifugio per la gioventù croata nella difficile lotta fra il 1929 e il 1934, e che molti giovani croati avesserlo sentito perlare per la prima volte dei fondatori Ustasha negli oscuri corridoi dei crociati.
Quintali di documentazione rendono evidente come la Fratellanza e la Sorellanza dei Crociati venissero usate come copertura per le attività illegali del movimento ustasha fuorilegge nel regno di Jugoslavia. Quando il regno di Jugoslavia crollò molti membri dei crociati e diverse organizzazioni affiliate ricevettero importanti incarichi nello stato ustasha.
 


 

Il periodico cattolico Katolicki Tjednik del 27 aprile 1941 riporta un articolo intitolato " I crociati rivolgono un saluto allo stato croato e al suo Poglanvik. Fra le altre cose, l’articolo diceva: "La grande fratellanza dei crociati ha mandato attraverso il cappellano militare dell’esercito ustasha, dottor Ivo Guberina, e attraverso in signori CVitanovic e Vitezic, il seguente saluto al Poglavnik: la nostra gioia e felicità sono indescrivibili nel salutare nel nome della Grande Fratellanza dei Crociati e dell’intera organizzazione dei Crociati il nostro Duce, l’imperatore del popolo croato, fondatore capo dello stato indipendente di Croazia, cresciuto nello spirito del cattolicesimo radicale, che non conosce compromessi di principio. Essi non hanno  mai pensato per un solo momento di cedere o abbandonare il programma del nazionalismo croato. Grande capo! I Cociati ti danno il benvenuto e ti esprimono il loro grande amore e devozione. Che il signore ti benedica con abbondanza, e che i Crociati possono continuare a costruire anime immortali per Dio, e personalità d’acciaio per il popolo croato. Dio è vivo, per la terra del padre noi siamo pronti!"

(continua…) 

 



Come scrive  Karlheinz Deschner, in Croazia riecheggiava la stessa retorica di stampo crociato, fanatica e fratricida, già sentita in Spagna nel 1936:
 


 

"Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano giunta "l’ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa". "Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal francescano Simic, un vicario militare degli Ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento. Essi speravano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di Dio". [3-7] 

Ante Pavelic con l’episcopato della Chiesa cattolica ad un ricevimento in occasione del suo compleanno.

 


 Suore marciano con i legionari nazisti croati (Ustasha).
(… continua)
L’organizzazione dei Crociati era diretta in modo centralizzato da Zagabria. L’arcivescovo Stepinac confermava personalmente la scelta dei suoi capi.
A presidente dell’organizzazione Stepinac aveva messo il noto fascista dottor Dr. Feliks Niedzielski, e come primo curato e vicepresidente aveva nominato monsignor Milan Beluhan.
La commissione di inchiesta ha accertato che nel periodo precedente la guerra molte chiese e monasteri cattolici della Jugoslavia servirono come sede per incontri segreti degli Ustasha. Per citarne solo alcuni,  gli incontri fra il leader del movimento illegale ustasha in Jugoslavia e i delegati di Pavelic dall’Italia e dalla germania si tenevano nel monastero francescano di Cuntic.
I preti occupavano posizioni di grande responsabilità nell’organizzazione illegale ustasha.
(continua …)

In proposito lo storico Dusan Batakovic ha scritto:  



"L’alto clero della Chiesa cattolica croata aveva stabilito una aperta collaborazione con le autorità Ustasha. Alla sua guida c’era l’arcicvescovo di Zagabria Mons. Alojzije Stepinac, che salutò la creazione del nuovo stato e diede la benedizione ad Ante Pavelic. La maggior parte dei vescovi cattolici (Mons. Saric di Sarajevo, Mons. Bonefacic di Split, Mons. Pusic di Hvar, Mons. Srebrenic di Krk, Mons. Buric di Senj, Mons Aksamovic di Djakovo, Mons Garic di Banja Luka, Mons. Mileta di Sibenik) hanno lavoratro attivamente per propagare il regime Ustasha, e un certo numero di preti e di suore portava l’uniforme Ustasha, soprattutto i francescani della Bosnia che non fecero nulla per nascondere la loro partecipazione ai crimini." [3-8]
( … continua)
Molti approfittavano le loro privilegi come preti per operare come servizio di corriere fra le varie organizzazioni ustasha, altri addirittura organizzavano segretamente gruppi ustasha. Il prete della diocesi di Ogulin, Ivan Mikan, era il principale organizzatore delle attività ustasha di Ogulin.
In una petizione al Ministro dell’Agricoltura del 7 maggio’42, il dottor Berkovic vantava i seguenti servizi resi alle organizzazioni Ustasha: "Durante 14 anni passato come prete a Drnis, la mia parrocchia era letteralmente la casa degli Ustasha, era il punto di incontro degli Ustasha, non solo della nostra regione, ma di tutti quelli che venivano nella zona per organizzare le attività degli Ustasha…" 
I più alti livelli della gerarchia cattolica intrattenevano tutti attività simili. L’arcivescovo di Sarajevo, Ivan Saric, incontrò i leader Ustasha in Sud America, e ne parlò apertamente su Katolicki Tjednik del 18 maggio 1941. In uno dei suoi viaggi in Vaticano, nel 1938, Saric incontrò Pavelic, nella Basilica di S.Pietro, e in seguito gli dedicò un poema che comparve su tutte le più importanti pubblicazioni cattoliche. 
(continua …)

"ODE AL POGLAVNIK"

Dall’ "Ode al Poglavnik" dell’Arcivescovo di Sarajevo leggiamo:
"Il poeta ti ha incontrato nella Città Santa,
nella basilica di S. Pietro, la tua presenza
era limpida come quella della patria natìa.
Che Dio onnipotente sia con te,
in modo che  tu possa portare a termine
il tuo compito sublime!
Idolo dei croati, tu difendi gli antichi diritti sacri.
Tu ci difenderai dall’ingordigia dei giudei
con tutti i loro soldi, i miserabili che volevano
vendere le nostre anime e tradire i nostri nomi.
Proteggi le nostre vite dall’inferno,
dal marxismo e dal bolscevismo."

 
Ante Pavelic era noto per una tale crudeltà da aver impressionato gli stessi caporioni nazisti che lo visitavano. Sulla sua scrivania Pavelic usava tenere un cestino con gli occhi che erano stati cavati alle vittime prima di venire sgozzate, asfissiate o uccise a martellate. Quella che sembrerebbe a prima vista una semplice leggenda metropolitana è stata confermata da diverse fonti, fra cui lo scrittore italiano Curzio Malaparte:



"Mentre si parlava, io osservavo un paniere di vimini posto sulla scrivania, alla sinistra del Poglavnik. Il coperchio era sollevato, si vedeva che il paniere era colmo di frutti di mare, così mi parvero, e avrei detto di ostriche, ma tolte dal guscio, come quelle che si vedono talvolta esposte, in grandi vassoi, nelle vetrine di Fortnum and Mason, in Piccadilly a Londra. Casertano (ministro italiano a Zagabria, ndr) mi guardò, stringendo l’occhio: "Ti piacerebbe, eh, una bella zuppa di ostriche!". "Sono ostriche della Dalmazia?", domandai al Poglavnik. Ante Pavelic sollevò il coperchio del paniere e mostrando quei frutti di mare, quella massa viscida e gelatinosa di ostriche, disse sorridendo, con quel suo sorriso buono e stanco: " E’ un regalo dei miei fedeli ustascia: sono venti chili di occhi umani" 
C. Malaparte, Kaputt, pag.429.




Questo era l’uomo che Stepinac ricevette e benedisse nella cattedrale di Zagabria, e poi sostenne finchè rimase al potere, incitando il clero e il popolo croato a seguire le sue orme. Sotto a destra: Stepinac, che era anche il più alto cappelllano militare dell’esercito di Pavelic, porge visita al dittatore per gli auguri di buon anno indossando la medaglia degli Ustasha.



In proposito, nell’introduzione al libro "l’Arcivescovo del genocidio" di Marco Aurelio Rivelli leggiamo:
 


"Interrogato durante il suo processo sul perché avesse accettato l’onoreficenza degli Ustasha, Stepinac non si vergognò di rispondere che «…se avessi rifiutato la massima onorificenza militare ustaša, sarebbero successe delle cose ancora più terribili… Noi abbiamo stabilito in modo chiaro i principî delle conversioni, gli ortodossi erano liberi e nello stato spirituale di convertirsi o meno», senza rendersi conto della plateale contraddizione: infatti, il pubblico ministero gli contestò che non era pensabile che un uomo del suo rango non potesse rifiutare un’onorificenza per timore di cose terribili, laddove, a dire dello stesso Stepinac, perfino i serbi potevano liberamente scegliere senza conseguenze se diventare ortodossi o meno. Il vile Stepinac non rispose." [3-9]

NOTA: Quella presentata finora è solo una parte dei capi d’accusa contro Stepinac citati dal documento dell’Ambasciata jugoslava, che invitiamo a leggere per intero. LINK

 

LA AUSCHWITZ DEL VATICANO
Quarta parte

JASENOVAC
LA GUERRA DEI FRANCESCANI


 

JASENOVAC
Ignorato sistematicamente dagli storici, Jasenovac fu il terzo campo di concentramento per dimensioni, dopo Auschwitz e Buchenwald, di tutta la seconda guerra mondiale (in realtà si trattava di un complesso di 5 campi diversi, tutti collegati fra loro). E’ qui che avvenne la maggior parte dei massacri operati dagli Ustasha contro le etnie non croate e non-cattoliche dello Stato Indipendente di Croazia.

 
Donne e ragazze serbe verso il campo di concentramento.


 

A Jasenovac morirono in tre anni circa settecentomila persone, che furono uccise con una brutalità inimmaginabile (le stime vanno da un minimo di 100.000 a un massimo di 1.000.000, ma la maggior parte degli storici sembra concordare su una cifra di circa 700.000 vittime in tutto). I più fortunati morirono di fame o di stenti, oppure con i liquidi dello stomaco e le intestina congelati dal freddo. Gli altri – uomini donne e bambini, senza differenza alcuna – venivano sgozzati vivi con un coltello speciale, chiamato srbosjek (sotto a sin.), che restava costantemente fisso al polso, oppure venivano affogati, bruciati, decapitati, strangolati con il filo spinato, o uccisi con una speciale mazza di legno (sotto a destra), che gli fracassava il cranio con un colpo alla tempia. 


 



C’erano settimane in cui il fiume Sava era perennemente tinto di rosso, a causa dei cadaveri che vi venivano gettati a migliaia dalla vicina Jasenovac.  

 
A SINISTRA: cavaderi che galleggiano nelle acque del fiume Sava. A DESTRA: Due Ustasha tengono un prigioniero per le braccia, mentre un terzo lo decapita con un’ascia. Gli altri stanno a guardare.



 Il serbo Milos Teslic, noto industriale e filantropo, fu torturato e ucciso in modo brutale dagli Ustasha. Le ossa gli furono spezzate, le orecchie e le labbra tagliate, gli occhi cavati, il petto trafitto, e il cuore gli fu strappato. Secondo i testimoni presenti, quando uno degli Ustasha prese in mano il cuore batteva ancora.  


Nei campi di Jasenovac e Stara Gradiska morirono circa 8.000 bambini.
Poco prima della liberazione, nel 1945, gli Ustasha rasero al suolo Jasenovac, dopo aver riesumato e dato alle fiamme migliaia di cadaveri, nel tentativo di cancellare le orme dell’eccidio commesso. 
 


LA GUERRA DEI FRANCESCANI
Come abbiamo visto negli atti di accusa contro Stepinac, i francescani della Croazia parteciparono attivamente sia alla preparazione della rivolta degli Ustasha, sia ai massacri compiuti in seguito contro i serbo-ortodossi.
In un articolo di Corrado Soli, comparso sul Resto del Carlino il 18 sett. 1941, si leggeva: 
"Ci sono state bande di massacratori che erano e verosimilmente lo sono ancora capeggiate e infiammate da sacerdoti e monaci cattolici." [4-1]
Ma è soprattutto nel propagandare l’odio religioso contro i serbo-ortodossi, incitandone apertamente lo sterminio, che i francescani diedero il principale contribuito alla "crociata" del Vaticano nella nuova Croazia.
Molti di loro avevano seguito l’esempio di Stepinac, entrando come cappellano militare nell’esercito degli Ustasha [4-2].

Esattamente come in Spagna, i cappellani militari davano regolarmente l’assoluzione anticipata alle truppe Ustasha che si apprestavano a compiere i massacri sui serbo-ortodossi, mentre offrivano la benedizione ai corpi speciali della polizia Ustasha (l’equivalente delle SS tedesche).
 

 

 
SOPRA: Membri della guardia del corpo giurano fedeltà fino alla morte al leader croato e ricevono la benedizione della Chiesa. SOTTO: Giuramento della polizia Ustasha nel 1943 con la benedizione della Chiesa.



Nelle prime 60 pagine del suo libro "Jasenovac ieri e oggi – La cospirazione del silenzio", William Dorich elenca i nomi di oltre 1000 preti cattolici che parteciparono alle mattanze nella Repubblica Indipendente di Croazia.
Dalla presentazione del libro leggiamo: "La maggior oparte dei serbi furono uccisi dai loro vicini, che venivano incoraggiati ad ammazzarli dai preti cattolici che guidarono un genocidio di oltre un milione di vittime."  LINK
QUESTA PAGINA di Internet riporta i nomi di 250 membri del clero cattolico coinvolti nelle azioni criminali degli Ustasha. La lista si ferma alla lettera "H".
Mentre i colleghi nell’esercito svolgevano il ruolo di cappellano militare, altri francescani completavano l’opera di propaganda direttamente dall’altare:
 


"Tramite i giornali e la radio, un odio assetato di sangue veniva istigato contro i serbi dal pulpito. Fra Sreko Peric, un francescano, mandava questo messaggio dall’altare della chiesa di Gorica, vicino a Livno: ‘Fratelli Croati! Andate e uccidete tutti i serbi. Prima uccidete mia sorella, che è sposata con un serbo, e poi ammazzate tutti gli altri. Quando avrete concluso il lavoro venite alla mia chiesa. Io vi confesserò e vi darò la comunione, e tutti i vostri crimini saranno perdonati.’ Dopodichè ebbe inizio il massacro. La crudeltà del massacro di quel giorno lascia senza fiato. Orde di Ustasha violentavano le donne e le tagliavano i seni, tagliavano gambe e braccia a quelle più anziane, e poi le cavavano gli occhi. Decapitavano i bambini, per poi buttarli in braccio alle loro madri. [...] I più orrendi crimini nella provincia di Knin furono commessi dal comandante Ustasha Fra’ Viekoslav Simic. Questo servo di Dio e di San Francesco uccideva personalmente i serbi."
 [4-3]

Contemporaneamente, dal pulpito i preti cattolici esaltavano le azioni vittoriose di Italia e Germania e inneggiavano al loro Poglavnik, che ritenevano mandato da Dio ad assolvere il sacro compito di restituire la Croazia al cattolicesimo, e viceversa.


Padre Bozidar Bralo è noto per aver ucciso personalmente migliaia di serbi, sia nel campo di sterminio di Jasenovac che nei villaggi serbi di Sabalj, Marsic-Gaj, Piskavica, Ponira, Biljevina e Grmec. In una occasione organizzò il massacro di 180 serbi, e poi ballò la danza nazionale croata attorno ai loro cadaveri, prima che fossero gettati nel fiume. Era membro del parlamento Ustasha, insieme a Stepinac, e ricevette diverse onoreficenze da Ante Pavelìc. [4-4]

Quando non erano i preti cattolici ad arringare il popolo contro i serbi lo facevano direttamente i caporioni Ustasha, ai quali la Chiesa prestava generosamente il pulpito, in una sempre più perversa commistione di ruoli, intenti e filosofia di fondo.


Il locale comandante Ustasha, Plese, durante un discorso dall’altare della chiesa. Gli altari servivano come palco per i discorsi di propaganda degli Ustasha.

 

"FRATELLO SATANA"


Fra i francescani che si distinsero per lo zelo genocida merita un capitolo a parte Fra’ Miroslav Filipovic, soprannominato "Fratello Satana", il francescano che per un certo periodo fu direttore del campo di concentramento di Jasenovac, prima di passare a dirigere quello di Stara Gradiska. Qui Filipovic conduceva personalmente molte delle mattanze compiute quotidianamente fra i prigionieri. A quanto raccontato dai superstiti, amava in particolar modo sgozzare i bambini, con lo speciale coltello ideato personalmente da Ante Pavelic.
(A sinistra, Fra’ Filipovic con l’abito da francescano. A destra con l’uniforme degli Ustasha).

Così lo storico Vladimir Dedijer descrive il modo in cui Fra’ Filipovic si guadagnò i galloni di comandante del campo di sterminio di Jasenovac: 

 

 

 



Già nel 1940 aveva prestato il giuramento Ustasha. Dopo la nascita della Repubblica di Croazia, lui e altri funzionari Ustasha organizzarono la persecuzione dei serbi, e lui stesso prese parte ai massacri. Fra i suoi molteplici crimini vi sono i massacri dei villaggi di Drakulici, Sargovac e Motika, vicino a Banja Luka. Qui  arrivò il 7 febbraio 1942, con l’intenzione di uccidere i serbi che vi abitavano, alla guida del battaglione Pavelic. Padre Filipovic uccise la prima vittima, il bambino Duro Glamocanin, gridando: "Ustasha, questo avviene nel nome di Dio. Io battezzo questi bambini e voi seguitemi. Io per primo prendo su di me l’intero peccato, e poi vi comfesserò in modo che siate perdonati per i vostri peccati". Poi incitò gli Ustasha criminali, che uccisero circa 1.500 uomini donne e bambini, con asce e bastoni. Dopo essersi dimostrato unatale  bestia umana gli Ustasha capirono di poterne fare buon uso, lo promossero e lo nominarono comandante dell’infame campo di Jasenovac. Là portava a termine quotidianamente gli omicidi con le sue mani , spesso di donne e bambini, che uccideva con colpi di martello di legno alla testa. Terrorizzava i prigionieri del campo e li uccideva senza pietà, come è stato raccontato nelle testimonianze dei superstiti.  [4-5]



Il francescano Miroslav Filipovic legge la Messa durante una celebrazione a Banja-Luka. Alla sua destra l’Ustasha Velikii Zhupan, governatore di Banja-Luka, che tiene in mano una corona di frumento.
Quando la Croazia fu liberata dai partigiani jugoslavi Filipovic fu arrestato, e fu poi processato dalla nuova Repubblica Federale Jugoslava. Nella sua deposizione di fronte alla Commissione Nazionale Croata sui crimini di guerra, Filipovic dichiarò: 
"Sono stato amministratore del campo di Jasenovac dal giugno 1942 all’ottobre 1942. Riconosco di aver personalmente ucciso, durante le pubbliche esecuzioni, circa 100 prigionieri nei campi di Jasenovac e Stara Gradiska. Riconosco anche che durante la mia amministrazione del campo vi furono esecuzioni di massa, alle quali non ho partecipato, anche se ero a conoscenza delle esecuzioni. Anzi, mi correggo, ero presente alle esecuzioni di massa, ma non ho partecipato [...] A Gradina le esecuzioni avvenivano con un martello di legno. Erano fatte in modo che la vittima dovesse prima calarsi in una buca che era già stata scavata [di solito dalla vittima stessa, N.d.T.], per poi ricevere un colpo di martello dietro la testa. Le uccisioni avvenivano anche con pistola o con il taglio della gola. Durante la liquidazione delle donne e delle ragazze a Gradina, so che venivano violentate le più giovani [...] Io non ho mai violentato nessuno. Durante la mia amministrazione, secondo i miei calcoli, furono liquidati a Jasenovac fra 20 e 30.000 prigionieri [...] Alla fine di ottobre del 1942 mi trasferii a Stara Gradiska, dove rimasi fino al marzo del ‘43. In quel periodo vi furono anche liquidazioni di massa, di solito eseguite fuori dal campo [...] Nell’aprile del 1945 sono tornato a Jasenovac, dove sono rimasto fino alla fine. So che in quel periodo i cadaveri dei prigionieri di Gradina venivano riesumati e bruciati per cancellare le tracce di quello che era successo. Io non ho partecipato alla liquidazione di questi ultimi prigionieri, ma solo alla loro riesumazione."  [4-6]
In realtà – commenta la Commissione nel documento – diverse testimonianze confermano che le uccisioni operate da Filipovic furono in numero molto, molto maggiore di quello dichiarato. Secondo alcune testimonianze, in una sola notte Filipovic avrebbe sgozzato personalmente oltre 100 bambini. Sempre nel ‘42 il responsabile di Jasenovac, che riferiva direttamente a Pavelic, ha dichiarato: 

"In un anno, soltanto qui a Jasenovac, abbiamo ammazzato più gente di quanta ne sia riuscita ad ammazzare l’impero ottomano in tutta la permanenza dei turchi in Europa."  [4-7]
Filipovic fu condannato a morte, insieme a molti altri Ustasha responsabili della gestione di Jasenovac e degli altri campi di concentramento.
Un altro francescano noto per sua la furia omicida fu Vicko Rendic, che diresse a sua volta per un certo periodo di tempo il campo di sterminio di Jasenovac.

 

LA DISTRUZIONE DELLE CHIESE ORTODOSSE

A conferma dell’onnipresente sapore di "crociata" che permeava tutte le azioni degli Ustasha vi fu la sistematica distruzione delle chiese ortodosse nei territori occupati, insieme all’eccidio, spesso truculento, dei preti della stessa religione.
In proposito, Dusan Batakovic ha scritto: 
"Gli alti dignitari e gli ecclesiastici della Chiesa ortodossa serba erano un bersaglio privilegiato degli attacchi Ustasha. Sul territorio dello Stato Indipendente di Croazia c’erano nove vescovi serbi, 1.100 chiese, 31 monasteri, 800 preti e 160 suore. Tre dei vescovi più importanti, Mons. Platon Jovanovic di Banja Luka, Mons.Petar Zimonjic di Sarajevo, metropolita di Bosnia, e Mons Sava Trlajic, vescovo di Karlovac, furono assassinati in maniera brutale.  Il metropolita di Zagabria, Mons. Dositej, fu deportato a Belgrado dopo essere stato torturato. Nello Stato Indipendente di Croazia circa 300 preti [serbi] furono uccisi, dopo che un gran numero fu espulso verso la Serbia. Nella diocesi di Karlovic furono incendiate, distrutte o fortemente danneggiate 175 chiese. Nella diocesi di Pakrac su un totale di 99 chiese, 53 sono stati incendiate e 22 danneggiate. Nelle diocesi della Dalmazia 18 chiese demolite e 55 danneggiate, su un totale di 109. Nella diocesi di Dubica il numero totale degli abitanti serbi è crollato in poco tempo da oltre 32.000 a 13.000 circa. Su tutto il territorio della Repubblica Croata, nei cinque anni di potere degli Ustasha, circa 400 chiese e monasteri serbi sono stati demoliti, mentre quelli danneggiati venivano utilizzati come sacrestie, avamposti,  mattatoi per il bestiame o gabinetti pubblici. A Jasenovac la chiesa ortodossa locale, prima di esser interamente distrutta, era stata trasformata in stalla. La distruzione sistematica non ha risparmiato nemmeno i cimiteri ortodossi, che venivano distrutti e poi rimossi, come quelli di Banja Luka, Cajnice, Brcko, Travnik, Mostar, Ljubinje, Slavonski Brod, Borovo, Tenja e molti altri ." [4-8]

LE CONVERSIONI FORZATE

I serbi che venivano risparmiati dagli Ustasha venivano obbligati a convertirsi al cattolicesimo, pena l’espulsione o la deportazione nei campi di concentramento.


Il folle sogno di trasformare una nazione multietnica e multireligiosa in un paese esclusivamente cattolico si fermò solo quando le armate dei partigiani jugoslavi riuscirono finalmente a sconfiggere gli Ustasha e a liberare il territorio occupato.


Nel frattempo quasi un milione di civili innocenti era stati uccisi, nel nome di un Dio che teoricamente avrebbe dovuto essere lo stesso per tutti.

 FONTE: http://www.altrainformazione.it/wp/la-auschwitz-del-vaticano/ 






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