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Pasque di sangue


 

Pubblicato da controrivoluzione su febbraio 8, 2007
«Il mio libro non merita il rogo»
Incontri/Parla Ariel Toaff, autore di “Pasque di sangue”, oggi in libreria ma già oggetto di polemiche da parte della comunità ebraica,
che contesta gli infanticidi rituali del Medioevo su cui lo studioso indaga. Di Segni si dimette dal consiglio della rivista diretta dallo storico
PER tutto ieri, Ariel Toaff non è riuscito ad incontrare suo padre Elio, il rabbino emerito di Roma, il professore; inoltre, è stato avvisato che avventurarsi nelle strade del Ghetto potrebbe risultargli pericoloso; infine, Riccardo Di Segni, il rabbino capo di Roma, si è dimesso dal consiglio della rivista Zahor, edita dalla Giuntina di Firenze e che riguarda la storia degli Ebrei d’Italia, di cui Toaff è il direttore, ma non si sa fin quando: alcune voci dicono che il finanziatore della pubblicazione recederà, appunto senza un cambio al vertice. Pasque di sangue, Ebrei d’Europa e omicidi rituali, che Il Mulino mette in vendita oggi (366 pagine, 25 euro: a lato, ne pubblichiamo uno stralcio), è ben più d’un semplice “caso” editoriale. «Fatte le proporzioni dovute, quando i rabbini tedeschi pronunciano l’interdetto contro Maimonide, lui replica: “Almeno hanno letto i miei libri”; io, nemmeno questo»: così esordisce Toaff jr., 65 anni, docente di Storia del Medioevo all’Università Bar Ilan di Tel Aviv. Con lui, a Roma, anche i tre fratelli.
Ariel Toaff, come è nato questo libro?
«Un lavoro di otto anni, interrotto da due di ripensamenti. Quando, alla fine delle indagini, ho capito che cosa andava formandosi, mi sono arrestato titubante. Toccavo un tabù».
E dopo, perché ha ripreso e quindi concluso?
«Perché non si difende l’ebraismo difendendo anche dei suoi gruppi estremisti, che pure sono esistiti. Ne ho parlato a numerosi altri storici, ho tenuto seminari all’Università: è un lavoro assai più profondo di quanto non risulti dalle anticipazioni, che estrapolano i passi più provocatori, e danno per certo quanto io indico solo come presumibile».
Scusi, come ha proceduto nelle ricerche?
«Dapprima, in 12, abbiamo esaminato, del processo di Trento relativo a Simone, 1475, tutti i passi che non riguardano l’omicidio: quanto gli interrogati dicono a proposito di altre persone e circostanze. Non un nome, non uno tra gli episodi che riferiscono, si sono rivelati men che veri».
E poi?
«I riti raccontati avevano corrispondenza nei testi degli ashkenaziti di allora, e solo in essi. Perfino l’uso del sangue come medicamento. Ed agli atti del processo, vi sono frasi dette e trascritte in ebraico, che però non hanno un senso. Ma pronunciate come l’ebraico ashkenazita d’allora, lo acquistano. Frasi dette in momenti salienti, che, alla lettera, corrispondono a forme liturgiche. Da qui il mio imbarazzo, e lo “stop” di due anni a questo mio lavoro».
Scusi, ma qualche esempio?
«Tolle iesse mina, che non vuol dir nulla, diventa Taluì Jeshu amìn, cioè “l’appeso Gesù l’eretico”. E così via: potrei citare quasi una dozzina di frasi anticristiane; “Tu sei crocifisso e trafitto, come Gesù l’appeso”, dice uno; e tutti gli altri, e solo quella volta, rispondono amén».
Frasi pronunciate da chi, chi erano costoro?
«Una setta oltranzista, tedesca, che agisce al di là delle Alpi e al di qua, a Trento. Si potrebbero chiamare Cannaìn, “i gelosi”, osservanti e ultraortodossi. Gente che temeva si sapesse ciò che stava facendo, perché era certa che i capi delle comunità ashkenazite li avrebbero denunciati; avevano vissuto gli infanticidi di massa da parte delle madri, e i docenti che ammazzavano i loro allievi, pur di evitarne i battesimi coatti, e la partenza per le Crociate. Prima dell’espulsione dei sefarditi, voluta da Isabella di Castiglia, è il massimo choc per l’intero ebraismo. In un testo d’allora, si legge che Dio farà vendetta se questa vendetta inizierà sulla terra. E i testi dell’epoca sono stati tutti scandagliati. Si tratta di pochi estremisti, che iniziano così la vendetta, tra il 1100 e il 1500».
Gli ebrei mangiatori di bambini cristiani: si rende conto?
«Quegli ebrei, e al massimo in uno, o due casi. Forse e probabilmente. Nel 1475, chiedono a due esponenti delle comunità ashkenazite, che vanno a comprare dei cedri a Riva del Garda, di provvedere loro al rapimento di un bambino, offrendogli 100 ducati. Cent’anni dopo, un testo edito a Roma, che esalta il beato Simone ed è quanto più possibile antisemita, rende ancora loro il merito di aver declinato. E anche il cardinale Lorenzo Ganganelli, poi Clemente XIV, che difende gli ebrei, dà per veri due unici casi: Simone ed Andrea di Bressanone; ed afferma che da ciò non si può però dedurre che “questa sia una massima, non meno teorica che pratica, dell’Ebrea nazione”».
L’unico processo esaminato è quello del celebre Simonino?
«E’ il case study; anche perché non ci sono processi meglio documentati. Però, ne esaminiamo anche altri; perfino uno in cui a uccidere i bambini provvedono dei frati. E’ chiaro che da questi casi isolati nasce poi lo stereotipo; e i più interessati a divulgarlo sono i frati zoccolanti. Qualsiasi infanticidio diventava un omicidio rituale. E di molti, si dimostra, proprio nel libro, che non lo erano affatto».
Ma che cosa prova un docente in un ateneo religioso come Bar Ilan, ad essere “scomunicato” da tutti i rabbini?
«Nessuno di loro mi ha cercato. Nessuno ha letto il libro. Uno, Riccardo Di Segni, è perfino citato in nota, perché in un suo testo, Il Vangelo del Ghetto, 1985, ho trovato dei dettagli per me utili, a favore dei miei dubbi. Parti del volume sono già citate in articoli di altri storici, che trattano temi simili. Non c’è stata una mia difesa: cose che non accadevano nemmeno nel Medioevo. Il mio libro al rogo in Piazza Giudia, non lontano da Giordano Bruno? Mi sa che i rabbini italiani, forse per paura, hanno aperto l’ombrello ancor prima che iniziasse a piovere».
FABIO ISMAN
IL MESSAGGERO
Giovedì 08 Febbraio 2007

WILLIAM CHE AVEVA 12 ANNI
di ARIEL TOAFF

ERA alla vigilia di Pasqua del 1144 che veniva ritrovato il corpo martoriato di William, un bambino di dodici anni, nel bosco di Thorpe (Thorpe Wood) alla periferia di Norwich, in Inghilterra. Nessun testimone si faceva avanti per far luce sull’efferato delitto. Soltanto in un sinodo diocesano, tenutosi qualche settimana dopo la scoperta del cadavere, lo zio del bambino, un chierico di nome Godwin Sturt, accusava pubblicamente gli ebrei del crimine. Poco tempo dopo il corpo della vittima da Thorpe Wood, dove era stato in un primo tempo sepolto, era traslato nel cimitero dei monaci, nei pressi della cattedrale, e diveniva fonte di miracoli.
Qualche anno dopo, tra il 1150 e il 1155, Tommaso di Monmouth, priore della cattedrale di Norwich, ricostruiva con dovizia di particolari e testimonianze le varie fasi del crimine, perpetrato dagli ebrei del luogo, e stendeva il dettagliato e ampio resoconto agiografico dell’evento. Nasceva così quello che da molti è stato considerato il primo caso documentato di omicidio rituale del Medioevo, e per altri la fonte del mito dell’accusa del sangue. Da questi Tommaso sarebbe stato ritenuto l’inventore e il propagatore dello stereotipo della crocifissione rituale, che si sarebbe ben presto diffuso, oltre che in Inghilterra, anche in Francia e nelle terre tedesche, nutrendosi degli elementi dell’ormai celebre racconto del martirio di William di Norwich a opera degli ebrei nei giorni della Pasqua.






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