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Ario l'Ebreo


Ario l'eretico 

Alessandria, III secolo dopo Cristo. Ario è cresciuto in una agiata famiglia di mercanti di grano che ha la tolleranza religiosa nel suo DNA: il nonno Eliseo è un pagano epicureo arioleretico.jpgche malgrado viva da quarant'anni in Egitto si sente ancora profondamente greco e che ha sposato una ebrea; il padre Eleazar è un ebreo non molto osservante che ha sposato una cristiana. Poiché a quanto pare la fede in famiglia si trasmette per via matrilineare, Ario è anch'esso cristiano, come pure tutti i servi che lavorano in casa. Nonostante il dolore per la perdita della madre a 9 anni, il ragazzo vive un'infanzia felice e serena, guidata dalla saggezza del nonno e dalla pacatezza del padre, in un melting pot di culture e filosofie diverse. Giunta l'adolescenza, scopre prima la masturbazione e poi il sesso violentando una sua giovanissima schiava, e al ginnasio assiste con disagio allo sfoggio di libertinismo di alcuni suoi insegnanti. A vent'anni si arruola nella flotta imperiale romana, ma il crudele ambiente militare non fa per lui, e poi si è innamorato perdutamente di una prostituta d'alto bordo che lo ha sì iniziato ai piaceri più raffinati, ma sta anche ripulendo le sue tasche poco a poco. A cambiare la vita di Ario – avviata ad essere uguale a quella di tanti rampolli benestanti della sua città – è l'incontro con Luciano d'Antiochia, un predicatore cristiano ritenuto un profeta da alcuni e un pazzo da altri: la sanguinosa repressione da parte dei romani di alcuni tumulti popolari è l'occasione per il predicatore di diventare un leader, e anche Ario decide da quel momento in poi di lottare per le sue idee...
Luciano Patetta, docente di Storia dell'Architettura al Politecnico di Milano, ripercorre la  parabola storica e filosofica di Ario, il fondatore di una delle più  importanti correnti eretiche della storia del Cristianesimo, ricorrendo alle poche notizie certe giunte fino a noi (di Ario ci restano solo due lettere, una confessione di fede e frammenti di un manoscritto) e a una robusta dose di fiction. Molto sinteticamente, l'arianesimo negava la natura divina di Gesù Cristo e lo poneva in una posizione subalterna rispetto al Dio suo creatore, eterno ed indivisibile. Una tesi che già durante il Sinodo di Alessandria del 321 aveva attirato sul capo di Ario la scomunica, ma che solo nel 325 diventò una condanna senza appello con il Concilio di Nicea, convocato e presieduto addirittura dall'imperatore Costantino. A Nicea – oltre a decidere cosucce come la data della Pasqua e la nascita virginale di Gesù – si sancì definitivamente la qualità di eresia dell'arianesimo e venne definito il dogma della consustanzialità di Padre e Figlio. Ario fu esiliato nella remota Illiria, i suoi scritti furono condannati al rogo e fu stabilita la pena capitale per chiunque ne fosse trovato in possesso. La storia di questo scontro drammatico (e non solo a livello dottrinario) il cui esito ha determinato il percorso della cultura occidentale diventa nel libro di Patetta soprattutto una storia di tolleranza contro intolleranza, di ragionevolezza contro dogmatismo, di equilibrio contro arbitrio. Basti ricordare un episodio: quando alcuni discepoli di Ario gli proposero di passare allo scontro armato contro i cristiani ortodossi, lui rispose così: «Non fatevi uccidere per le mie opinioni. Potrei avere torto. A nessun uomo è dato il privilegio di non sbagliare».

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