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L'Obamacare viola la libertà di culto

L'Obamacare viola la libertà di culto

di Stefano Magni

22 aprile 2012ESTERI

 

La riforma sanitaria di Barack Obama, l'ObamaCare, non comporta solo una maggior spesa pubblica e una possibile (e più che probabile) impennata della pressione fiscale. La riforma va a colpire direttamente l'etica e il credo degli americani. È su quest'ultimo punto che la lite fra amministrazione e opposizione repubblicana sta arrivando al calor bianco.

Occorre fare una piccola premessa. In Italia, dopo il referendum sull'aborto, le interruzioni di gravidanza avvengono in strutture pubbliche, pagate da tutti, anche dai cattolici. Il dibattito, da noi, riguarda semmai l'introduzione di nuove pratiche abortive (come la pillola Ru486), sempre in strutture pubbliche. Oppure sull'obiezione di coscienza: i medici che, essendo cattolici, rifiutano di praticare aborti. Nel nostro Paese c'è un doppio problema: i cattolici sono costretti a pagare per ciò che ritengono un peccato, mentre una donna che vuole abortire, anche se non è cattolica, lo può fare solo dove non vi sia un medico obiettore.

In Italia, insomma, vige il principio della democrazia: è la maggioranza che decide. La minoranza deve arrangiarsi. Negli Stati Uniti la sanità non ha mai avuto questi problemi, perché è privata. Può avere mille difetti: l'aumento dei prezzi e il rischio di chi non è assicurato, anche temporaneamente. Ma, per lo meno, oltre Oceano, non si era mai posto un problema etico: i cristiani praticanti sono liberi di scegliere per sé, per i propri familiari o per i propri dipendenti, di acquistare la copertura sanitaria che escluda le operazioni di interruzione di gravidanza, sterilizzazione, i farmaci contraccettivi. E i laici, allo stesso tempo, sono sempre stati liberi di comprarsi un'assicurazione che copra tutte queste scelte. Vige il principio della libertà individuale.

Con l'ObamaCare il servizio pubblico entrerà nelle decisioni del privato. E l'America diventerà un po' più simile all'Italia. Non si parla di nazionalizzare il servizio sanitario. Ma di imporre l'obbligo di acquistare un'assicurazione sanitaria. Quale copertura minima dovrebbe dare? Un capitolo della riforma prescrive che debba includere anche l'aborto e tutte le pratiche connesse. Anche le organizzazioni cattoliche che hanno sostenuto Obama sono insorte nel momento in cui la proposta è diventata pubblica, nell'agosto del 2011 e poi, soprattutto, quando è stata confermata nel febbraio scorso. I repubblicani ne hanno fatto uno dei loro cavalli di battaglia elettorale. Benché Obama abbia esentato le chiese e le istituzioni religiose dall'obbligo di assicurarsi con polizze che includono pratiche contrarie ai loro principi, il problema rimane per tutti i datori di lavoro cristiani praticanti, che dovrebbero assicurare i loro dipendenti. Insomma, ogni intervento statale genera un problema di scelta individuale. E anche qualsiasi compromesso su una scelta collettiva, finché resta obbligatoria, calpesta i diritti di una minoranza.

Il dibattito riguarda la libertà individuale e niente altro. Non c'entra la Chiesa, né la sua vera o presunta influenza sulle istituzioni dello Stato. A sottolinearlo, in questi giorni, è Ryan Messmore, ricercatore del think tank conservatore Heritage Foundation. Giovedì ha pubblicato un paper che smonta, uno per uno, tutti i principali miti sulla sanità che impediscono di affrontare seriamente la questione. Prima di tutto: la riforma e i suoi oppositori non stanno discutendo sul rapporto fra Stato e Chiesa. «La frase "separazione fra Stato e Chiesa" non appare nemmeno nella Costituzione - rileva Messmore - ma se proprio volessimo darle un senso, significa: lo Stato non deve interferire con le istituzioni religiose, costringendole a violare la loro coscienza. I datori di lavoro, privati, che vogliano fornire ai loro impiegati la copertura per la contraccezione, sono liberi di farlo. Ma i datori di lavoro religiosi che obiettano contro la riforma, stanno esercitando lo stesso diritto di libertà».

Secondo mito da smontare: il dibattito non riguarda solo il finanziamento pubblico. Perché la riforma non si applica solo alle organizzazioni che ne beneficiano, ma si estende ai privati e copre tutti i piani assicurativi, «sia quelli che ricevono fondi pubblici, sia quelli che non li ricevono». 

Terzo: l'esenzione delle chiese dall'obbligo di acquistare certi tipi di assicurazione sanitaria, non risolve il problema della libertà di coscienza. Perché «tutti gli americani, non solo le chiese, devono essere liberi di assicurarsi in base al loro credo religioso o alle loro convinzioni morali». Benché le chiese siano già esentate da ogni obbligo, gli ospedali, le scuole e le organizzazioni caritatevoli cristiane resterebbero ancora obbligate ad assicurare i loro dipendenti, in base a piani di copertura scelti dal governo, contrari al loro credo.

Quarto: il dibattito non riguarda solo gruppi o istituzioni religiose, ma direttamente i diritti individuali, perché la riforma della sanità di Obama influisce sulle scelte dei singoli. «Molte organizzazioni religiose stanno chiedendo protezione dall'ObamaCare, appellandosi a una legge federale chiamata Religious Freedom Restoration Act ("legge sul ripristino della libertà religiosa", ndr) - constata Messmore - In quanto individui razionali, le persone vivono e soddisfano le loro necessità entro istituzioni. Attraverso istituzioni, i cittadini formulano ed esprimono le loro identità. Ha dunque senso che sia gli individui che i gruppi possano godere del diritto di libertà religiosa».

Quinto: questo dibattito non riguarda solamente istituzioni e gruppi che vogliono pagare le tasse solo per ciò che aggrada loro. «Il discorso, semmai - puntualizza Messmore - è se il governo possa o non possa costringere una persona a violare il suo credo».

Infine, ma non da ultimo, il dibattito non si focalizza su chiese e datori di lavoro che interferiscono nelle scelte personali dei loro dipendenti. Perché chi non condivide i valori e la missione del proprio datore di lavoro (specie se questo è una chiesa o un'istituzione religiosa) può anche cercarsi un altro impiego. Una coscienza "laica" imposta dallo Stato, al contrario, non dà libertà di alternativa. «Il succo del discorso è la libertà. La libertà di culto, la libertà di individui e gruppi da uno Stato che vuole imporre loro di violare la loro stessa coscienza». Negli Stati Uniti, dunque, è in discussione uno dei principi cardinali della Costituzione. E per questo sarà ancora una battaglia lunga e senza esclusione di colpi.

FONTE

Onu: da oggi non esisteranno più diritti universali

   


Da oggi non esisteranno più diritti universali, ma i diritti potranno essere relativizzati sulla base di presunti "valori tradizionali" dei singoli Paesi.
La decisione è il frutto di un discusso emendamento della Russia, approvato del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, dal titolo "Promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali attraverso una migliore comprensione dei valori tradizionali dell'umanità".
Il documento, redatto nel giugno del 2011 dai leader religiosi delle comunità tradizionali d'Europa, prevede che i diritti umani debbano essere interpretati sulla base delle tradizioni culturali dei singoli Paesi.
Se, dunque, uno stato non vede di buon occhio l'omosessualità, nessuno potrà più dirgli nulla se deciderà di perseguitare i gay.
I continui riferimenti alla famiglia lasciano pochi dubbi sul fatto che la comunità omosessuale sia l'obiettivo principale della norma. Dopo l'entrata in vigore delle
varie leggi anti-gay russe, in più occasioni internazionali il Cremlino non ha perso occasione per manifestare la sua omofobia (giusto pochi giorni fa, la Russia aveva posto il proprio veto anche per impedire che i ministri delle politiche giovanili del Consiglio d'Europa potessero promulgare
un documento a sostegno delle minoranze sessuali). Ora che la norma è vigente, paiono anche inutili i ricorsi che la comunità lgbt russa ha presentato alle Nazioni Unite, ormai resasi inerme davanti alle decisioni nazionali.
Numericamente parlando, la risoluzione è stata adottata con 25 voti a favore, 15 contrari e 7 astensioni. A favore si sono espressi Angola, Bangladesh, Burkina Faso, Camerun, Cina, Congo, Cuba, Gibuti, Ecuador, India, Indonesia, Giordania, Kuwait, Kirghizistan, Libia, Malesia, Maldive, Mauritania, Filippine, Qatar, Russia, Arabia Saudita, Senegal, Thailandia e Uganda. Hanno espresso voto contrario Austria, Belgio, Botswana, Costa Rica, Repubblica Ceca, Ungheria, Italia, Mauritius, Messico, Norvegia, Polonia, Romania, Spagna, Svizzera e Stati Uniti. Gli astenuti, infine, sono stati Cile, Benin, Guetemala, Nigeria, Perù, Moldavia e Uruguay.
FONTE






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