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Lettera di Jabotinsky indirizzata a Mussolini


LETTERA DI JABOTINSKY: la lettera che Jabotinsky indirizzava a Mussolini il 16 luglio 1922. Eccola nel suo originario testo autografo:

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Roma, li 16 luglio 1922
Chiarissimo signor Mussolini,
Ella non mi conosce, quindi due parole di presentazione : sono un membro del Comitato esecutivo dell'organizzazione sionistica ; fui il fondatore del reggimento ebraico che prese parte alla conquista della Palestina ; ex
tenente dell'esercito inglese ; nato in Russia, ora suddito palestinese ; nel 1920, fui condannato da una corte militare inglese a Gerusalemme a 15 anni di lavori forzati per aver organizzato un corpo ebreo di difesa armata, ma la sentenza fu cassata dopo. Studiai legge a Roma una ventina d'anni fa. Ho un certo nome come giornalista russo ed ebraico. Siccome mi si dice ch'Ella è violentemente
avverso al movimento nostro, credo che siamo nemici.
Ho letto con interesse il suo articoto sulla « Gratitudine dei siriani », 14 luglio. Gli amici mi spiegano che è parte d'un Suo piano generale, quello di creare in Italia un centro di movimento pan-arabo, di cui l'Italia profitterebbe.
È un piano interessante, ma credo che per l'Italia non ne ricaverà niente.
Rilegga un po' l'elenco delle genti arabe che hanno promesso di far politica pro-italiana. In quanto al Mediterraneo levantino, il commercio marittimo non è tanto governato da arabi quanto da altri, forse soprattutto da ebrei. Non dimentichi anche Odessa, che se oggi è morta, domani sarà la porta d'un Eldorado. Inquanto all'oltremare, a New York ci sono 1.500.00 ebrei, a Boston 60.000, a Detroit 100.000, in posizioni di grande influenza sociale e finanziaria. Può domandare a chiunque conosca l'America se gli arabi vi abbiano un ascendente qualsiasi. Tanto per conto commercio.  O prendiamo la lingua. 50 anni fa l'italiano era la lingua franca del Mediterraneo. Sa perché ? Perché lo parlavano gli ebrei dei diversi porti.
Dacché l'Alliance Israélite introdusse il francese nelle sue scuole, di cui rigurgita il Levante, l'italiana incominciò a declinare. Voi non avete fatto niente per risuscitarla. Ella pensa adesso agli arabi. Sbaglia. L'espansione d'una lingua « culturale » può essere confidata soltanto a una popolazione intellettualmente attiva, che ama leggere e scrivere e spendere quattrini per la compera di libri e periodici. Se crede che ciò possano fare gli arabi di questa o la prossima generazione, è male documentato.
Mi creda che non Le offro un bakscisc' ; ma stavo pensando sin dall'inizio della guerra a un'azione fra gli ebrei del Mediterraneo per ristabilire il dominio della lingua italiana. La ragione mia era, naturalmente, quella dell'interesse
nazionalista ebreo. L'ebraico nostro è troppo povero in letteratura — per ora — per opporsi alla concorrenza d'una lingua europea, che sia l'inglese in Palestina o la francese o la russa altrove. Perciò vogliamo dappertutto piú di una lingua europea. È un fenomeno regolare della storia nostra : di fronte ad una lingua ci assimiliamo, di fronte a molte resistiamo. In secondo luogo, commercialmente, l'importanza dell'i'taliano è ovvia. Le dico tutto questo per farLe comprendere che si trattava, per me, di vero e sano egoismo nazionale, e non di lusinghe che inventi adesso. Posso dire che queste idee sono adesso appoggiate da tutti i miei colleghi che dirigono il movimento. Ciò che potremmo fare in questo riguardo mi pare d'una certa importanza. Nelle 150 scuole che abbiamo in Palestina potremmo introdurre l'italiano senz'altro ; a Costantinopoli, Salonicco, Smirne, in Bulgaria ecc. ; ci vorrebbe un anno o due di preparazione, ma il risultato si farebbe quasi immediatamente su tutta la linea del commercio vostro.
Spero ch'Ella non mi reciterà del marxismo superficiale, dicendo « se la lingua italiana. è importante, la dovrete imparare in ogni caso ». No. Siamo padronissimi d'imparare o di boicottare, soprattutto in vista dell'ascendente
che hanno già preso l'inglese e il francese (anche i negozianti italiani se ne servono). Ai tempi nostri, signor Mussolini, l'espansione di una lingua è dettata da simpatie, non da quella Selbstverständlichkeit economica ch'era di moda negli opuscoli di materialismo storico della nostra gioventú.
Passo al pan-arabismo. Vi è un punto qui che non mi è chiaro. Come in ogni movimento nazionalista — esempi l'Italia e la Germania nel secolo scorso — l'ultima meta del pan-arabismo deve essere « va fuora, o stranier ».
Andranno via i francesi dal Marocco, Algeria, Tunisia, gl'inglesi dall'Egitto, e poi gl'Italiani dalla Libia. Non in uno spirito di polemica, ma semplicemente per comprendere, vorrei domandare : voi siete d'accordo ? D'accordo che
l'Italia se ne vada via dalla spiaggia sud, a condizione che se ne vadano anche i forestieri ? Oppure nutrite la speranza ingenua che, per gratitudine all'Italia che avrà fatto per loro da Piemonte, gli arabi faranno un'eccezione per voi ? A questo, non ci creda. Nel l'Italia di 20 anni fa che conobbi io, la gratitudine all'Inghilterra era ancora freschissima, e se ne parlava come del paese che accolse Mazzini ecc. precisamente come Ella vuoi accogliere Zaglul o non so
chi altro. Veda quanto n'è rimasto di quella gratitudine. Anzi — dopo un anno di agitazione vi diranno i vostri discepoli arabi : se siete sinceri, mostrate l'esempio e andatevene dalla Libia seni aspettare i francesi.
Io nel pan-arabismo non credo, non prima del secondo millennio, perché mi pare che ai di nostri la prima condizione di grandiosa politica è la modernizzazione delle masse, risveglio intellettuale, lavoro da formiche per
decenni e decenni che fa penetrare l'alfabeto, la tecnica e la curiosità di coltura nelle menti di milioni. Ciò non lo vedranno neanche i nipoti degli arabi d'oggi.
Ma nel progresso del mondo arabo noi certo crediamo, e se Lei crede che siamo tanto ciechi da volerlo schiacciare Lei ci rende un'ingiustizia.
Dall'enclave palestinese che creeremo per noi, offriremo al mondo arabo l'alleanza con 15 milioni di ebrei sparsi nel mondo intero ; un'alleanza non per scacciare l'Europa dalle sponde dell'Africa e dell'Asia artificialmente, ma per sviluppare le scuole, !'igiene, l'industria. E non aspetteremo nessuna gratitudine, perché l'enclave nostra, che sarà numerosa quanto la Siria, è dagli
altri paesi arabi divisa da deserti ; non ne avrà bisogno, di gratitudine, sostenuta come sarà naturalmente da potenti forze d'oltremare, ebraiche e cristiane.
Signor Mussolini, mi pare ch'Ella non conosca l'ebreo. Forse mi sbaglio, ma mi sembra ch'Ella s'immagini, quando pensa agli ebrei, un essere docile, untuoso, furbo, sempre sulla difensiva, sempre proclamatore della propria lealtà al l'Italia, all'ideale ecc. ecc. Sono queste favole del secolo scorso, e anche allora erano favole. Se vuoi conoscere il grado di vitalità nostro, studi i suoi fascisti, soltanto vi aggiunga un po' piú di tragedia, un po' piú di tenacità — forse anche piú d'esperienza. Le domando : crede che sia una politica italiana costruttrice, quella di insistere sulla rovina delle nostre speranze, sullo sfasciamento dell'unità etnica che abbiamo mantenuta contro la volontà del mondo intero ?
E anche Le domando, umanamente : come pensatore, come mente costruttrice — quale programma ci suggerirebbe, a questo popolo che sbandarsi non vuole e mai non vorrà ?
Scusi la lunga lettera, certo non scritta per convertire un uomo della Sua tempera. Certo sarei fortunatissimo di conoscerla personalmente — il movimento ch'Ella rappresenta, e la personalità Sua m'interessano moltissimo ; ma spero non mi farà l'ingiustizia di considerare questa lettera come una specie d'approccio diplomatico, di cui del resto essa non ha, spero, neanche il carattere.
Suo devotissimo
W. JABOTINSKY






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